Emorroidi: cosa fare quando fuoriescono

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Emorroidi: cosa fare quando fuoriescono

09-10-2013 - scritto da Angela Nanni

Emorroidi: cause, terapie e tecniche chirurgiche a seconda del tipo di patologia da affrontare e al grado di prolasso

Emorroidi esterne, un problema molto diffuso: ecco come intervenire

Emorroidi: cosa fare quando fuoriescono

Tutte le persone sono provviste di emorroidi: con questa dicitura, infatti, si indicano dei cuscinetti, particolari strutture molto vascolarizzate dislocate a livello del canale anale che servono per la continenza fecale, dei liquidi e dei gas: hanno quindi la funzione di regolare la continenza e “accompagnare” le feci all’esterno riducendo il trauma. Sono dunque una parte normale dell’anatomia umana, anzi, una parte molto importante con una funzione specifica.

Quando queste strutture presenti in tutti gli esseri umani si infiammano e si ingrossano danno dolore, sanguinamento e tutto il corteo sintomatologico così tristemente famoso per chi soffre di emorroidi, o meglio di malattia emorroidaria.

La fuoriuscita delle emorroidi dalla loro sede naturale dà luogo alle cosiddette emorroidi esterne: la malattia emorroidaria consiste nello scivolamento del tessuto emorroidario verso il basso e all’esterno del canale anale, condizione che determina il rigonfiamento di tale tessuto. A seconda della loro gravità, le emorroidi vengono classificate in gradi. Si va dalle situazioni più lievi (emorroidi di I e II grado) a quelle più serie (III e IV grado).

Il fenomeno delle emorroidi esterne può essere causato da una naturale stitichezza che determina uno sforzo continuo ed eccessivo durante la defecazione o da un’alimentazione molto ricca in cibi speziati e salumi che rendono altrettanto innaturale la normale defecazione. Altre cause della malattia emorroidaria sono la predisposizione genetica (coloro che hanno genitori o parenti prossimi che hanno sofferto di emorroidi hanno un rischio 3 volte superiore rispetto alla norma di soffrirne a loro volta), diarrea cronica, postura, sforzi fisici frequenti e gravidanza.

Sintomi del prolasso delle emorroidi
La fuoriuscita delle emorroidi all'esterno determina dolore, prurito e sanguinamento. È importante rivolgersi ad uno specialista proctologo il quale potrà fare una diagnosi per stabilire se effettivamente si tratta di malattia emorroidaria ed escludere la possibilità che si tratti di cancro al retto o all’ano. Non c’è alcuna correlazione tra queste patologie, tuttavia i sintomi possono essere paragonabili.

E' possibile guarire dalle emorroidi?
Chi soffre di emorroidi esterne deve innanzitutto migliorare la propria qualità di vita ovvero deve alimentarsi con equilibrio, idratarsi correttamente e consumare almeno 5 porzioni al giorno fra frutta e verdura; deve privilegiare una vita attiva, non deve fumare e deve mettere in atto tutte quelle piccole accortezze che possono favorire la regolarità intestinale quotidiana come assumere cibi ricchi di fibre, mangiare yogurt e probiotici, prediligere carni bianche e pesce al posto di quelle rosse e ridurre il consumo di cioccolato, di insaccati e di cibi speziati. Ma tutto ciò può non bastare, purtroppo...

Nel momento in cui le emorroidi fuoriescono è buona abitudine lavarsi 3-4 volte al giorno con sapone neutro e acqua tiepida, ma mai calda perché aumenta il flusso ematico verso il basso con peggioramento del dolore e dell’irritazione. Localmente si possono applicare preparati per uso esterno come creme, gel, unguenti o schiume che contengono, solitamente, un mix di cortisone e anestetico: il cortisone serve per lenire l’infiammazione, l’edema e il prurito, mentre l’anestetico serve per lenire il dolore.

E' bene ricordare, però, che se le emorroidi esterne sanguinano, soprattutto se gocciolano, è buona norma evitare l’applicazione dei cortisonici che possono ritardare la cicatrizzazione. Durante l’attacco emorroidario, soprattutto se non si possono usare rimedi locali a causa del sanguinamento, può essere utile l’assunzione per via orale di integratori o farmaci a base di bioflavonoidi dalle proprietà vasotoniche.

La malattia emorroidaria è una malattia evolutiva e, in caso di prolasso, nessun farmaco è in grado di riportare in sede il tessuto scivolato verso il basso. Quello che può migliorare, con la terapia medica, è la sintomatologia ad esso associata: sanguinamento, bruciore, dolore, congestione ecc. Ma, per i quadri emorroidari più avanzati (III e IV grado), cioè quando il prolasso è secondario ad un cedimento della parete rettale interna che che costringe il tessuto emorroidario interno a scivolare verso il basso e presentarsi costantemente all'esterno del canale anale, quando la dieta o i farmaci non sono sufficienti alla risoluzione del problema, quando la sintomatologia interferisce con la qualità della vita del paziente, o quando si verificano complicanze serie come la formazione di trombi (coaguli di sangue) nei vasi emorroidari, è possibile ricorrere all’intervento chirurgico.

L'intervento chirurgico, purtroppo, in alcuni casi diventa l'unica soluzione per migliorare la qualità della vita del paziente quando la sintomatologia legata al prolasso emorroidario non beneficia dei consigli indicati e della terapia medica specifica adottata.

L’operazione è vista con grande timore dai pazienti, soprattutto per quanto riguarda il possibile dolore post operatorio, vista anche la delicatezza della zona in cui viene praticato l'intervento. La verità è che non c'è una tecnica di intervento che realmente consenta di annullare il dolore. Per alcuni giorni, nella maggior parte dei casi, questo sarà inevitabile, anche se è vero che ogni organismo reagisce in modo proprio alle sollecitazioni. Tuttavia, a differenza che nel passato, oggi gli specialisti hanno a disposizione tecniche sofisticate che provocano meno disagi sia durante l’intervento sia nel post operatorio. Ci sono diverse tecniche chirurgiche a seconda del tipo di patologia da affrontare e al grado di prolasso emorroidario:

- Le legature elastiche per prolassi emorroidari in fase iniziale

- L’emorroidectomia tradizionale aperta o chiusa (metodo Milligan-Morgan e metodo Ferguson): consiste della rimozione del tessuto prolassato con asportazione dei cuscinetti adiposi cutanei. In pratica si tratta di asportare chirurgicamente le vene emorroidarie prolassate

- La prolassectomia con Stapler (metodo Longo): si basa sulla premessa che il prolasso emorroidario è secondario al cedimento della parete rettale e che è dunque verso questa che deve essere indirizzato l’atto chirurgico. Il tessuto emorroidario non viene quindi asportato, ma ricollocato in sede attraverso un vero e proprio "lifting del canale anale". In pratica si tratta di eliminare il prolasso e riportare le vene emorroidarie nella loro sede abituale. Il metodo Longo è diventato negli ultimi anni l'intervento di scelta per le emorroidi di III e IV grado e per i prolassi della mucosa rettale

- La tecnica HAL/THD, piuttosto recente

Nessuna di queste tecniche può essere ritenuta la migliore: ognuna presenta infatti dei vantaggi rispetto alle altre ma anche dei limiti e il rischio di eventuali complicanze e recidive. Per questo è bene approfondire la strada da percorrere con uno specialista proctologo professionalmente qualificato, che conosca e sappia utilizzare le varie metodiche oggi disponibili per questo tipo di chirurgia. Va sottolineata una nota importante: non può essere il paziente a scegliere la tecnica da usare, seguendo le indicazioni di amici e conoscenti o le esperienze lette su internet, perchè questo compito spetta solo e soltanto al medico che dovrà intervenire in base allo specifico caso clinico che gli si presenta davanti.

Sui siti della Società Italiana di Chirurgia Colo-Rettale (Siccr - Società Italiana di Chirurgia Colo-Rettale) e della Società Italiana Unitaria di ColonProctologia (www.siucp.net) è disponibile un elenco di tutti gli specialisti presenti in Italia.



A cura di Angela Nanni, Farmacista iscritta all'Albo dal 2005 e Redattore medico scientifico freelance.
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