Management del paziente difficile nello studio del Medico di Famiglia: consigli utili

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Management del paziente difficile nello studio del Medico di Famiglia: consigli utili

24-07-2014 - scritto da Dr. Giovanni Colucci

Spunti di riflessione sia per il Medico di Famiglia sia per i pazienti difficili, per una miglior relazione tra loro.

Spesso siamo soliti etichettare alcuni dei nostri pazienti come “difficili”. Le statistiche dimostrano che, in un mese, per incomprensione o superficialità del rapporto, mediamente lo 0,1–0,3% degli assistiti revoca il proprio medico. Nella definizione di paziente difficile bisogna considerare una triade di fattori: il paziente, il medico e la relazione fra i due (1).

I pazienti difficili, descritti in letteratura, sono quelli che suscitano nel medico sentimenti indesiderati così intensi da rendere difficile l’esercizio della professione: impotenza, avversione, paura, angoscia, disperazione, rancore, frustrazione, incapacità alla ribellione, turbamento interiore; divengono uno spiacevole carico addizionale di lavoro e possono impedire l’attuazione di una relazione di cura equilibrata.

Il rapporto medico-paziente costituisce una unità, dove il medico non è più osservatore neutrale ma corresponsabile della relazione che si crea (2). Un soggetto difficile per un medico può non esserlo per un altro.

Possiamo classificare i pazienti in base a tre tipologie:

1) il paziente affetto da disturbo della personalità: ha difficoltà interpersonali ricorrenti o continue che causano sofferenze e disagi anche a chi gli sta vicino; ritiene gli altri responsabili di quello che gli accade. Spesso, per mancanza di cultura o false credenze, è convinto che il destino si accanisce contro di lui

2) il paziente con disturbi vaghi e funzionali (classificato anche come soggetto con tendenza alla somatizzazione) cerca aiuto continuamente e presenta sintomi diversi che persistono nonostante i trattamenti. Una sua caratteristica è chiamare il medico di notte o la domenica e insistere per avere prescrizioni di farmaci sempre nuovi, visite specialistiche, esami anche invasivi.
La somatizzazione è palese quando il paziente diventa dipendente da altre persone, medici o altri professionisti della salute, oppure quando rimane intrappolato nel labirinto degli esami e trattamenti medici, fino a ricorrere alla medicina alternativa.
La società e i mass media hanno un ruolo preponderante nell’influenzare un paziente con personalità già labile. Radio e TV ogni giorno trasmettono programmi di interesse medico che, se da una parte sono utili per la prevenzione, dall’altro lanciano messaggi che sono recepiti da questi utenti in maniera distorta. Inoltre il paziente tramite “Internet” può da solo informarsi sulla propria patologia e soprattutto sulla diagnosi! Si reca dal medico, anche specialista, rivelando il nome della patologia e pretendendo determinati trattamenti diagnostici. In questo modo viene di sicuro sminuita e insultata la professione medica!(3-4-5)

3) il frequentatore abituale dello studio: si tratta di una categoria studiata a fondo, sia perché è facilmente individuabile, sia perché produce un carico di lavoro aggiuntivo per il medico, rilevante in termini di tempo e non solo di energia. E’ definito frequentatore abituale chi consulta il medico 9 – 14 volte all’anno. In questa categoria rientrano pazienti la cui fascia di età va dai sessanta anni in su (6). Gente sola con interessi ormai evanescenti poiché in età pensionabile, vedovi o separati che incentrano la propria giornata, vuota e interminabile, sul momento dell’appuntamento con il medico. Anziani relegati nelle loro case trascorrono il tempo nel ricordo del passato, spesso abbandonati dai loro parenti troppo presi da impegni di lavoro, per cui l’unica compagnia è rappresentata da un animale domestico (7-8).

Può il medico avere, con questi pazienti, un rapporto lineare? La sua cultura influenza il rapporto empatico? Oppure crede di avere una funzione apostolica?

Scopo
Di solito prendiamo in esame il paziente, al centro dell’universo sanità, oggetto delle cure che ne migliorino la qualità di vita. Invece in questo studio abbiamo focalizzato l’attenzione sull'attività dell’esaminatore, il Medico di Famiglia, per studiare quanto nella relazione con il paziente è professionale e quanto e coinvolto come “amico”. I pazienti sono spesso nostri parenti o amici; può capitare che i nostri figli siano compagni di scuola o che la sera ci si incontri a cena o a ballare (9).

Materiali e metodi
Attraverso un questionario abbiamo cercato di capire quali sono i pazienti che il medico considera difficili e il rapporto che instaura. Il questionario è stato distribuito a 180 medici di famiglia. Hanno risposto in 102.

Risultati

 

risultati

 

 

Il 90% dei pazienti che vediamo nel nostro ambulatorio sono cronici o con più patologie. Con la rivoluzione industriale la durata media della vita è aumentata drasticamente grazie anche alla prevenzione e cura delle malattie. Molti sono i fattori che condizionano l’invecchiamento: biologici, giuridici, affettivi, sociali, dipendenza, invalidità, ambientali, economici e psicologici.


Punto cardine per l’anziano è la famiglia, patriarcale o moderna. Nella prima, l’armonia regna sovrana con rapporti basati sul rispetto e l’obbedienza. Nella seconda, l’anziano viene usato vantaggiosamente nelle attività domestiche mantenendo un certo prestigio (per la funzione che svolge) in un equilibrato rapporto familiare; altre volte purtroppo, viene trascurato e ignorato dimostrandogli la sua inutilità. Sentendosi inutile assume atteggiamenti reattivi naturalmente diversi da caso a caso, sempre influenzati dalla personalità del soggetto; può diventare aggressivo, sentirsi abbandonato e triste fino a darsi all’alcol (10). Spesso l’anziano vuol vivere da solo per essere completamente indipendente e gestire al meglio la propria vita.

Alla domanda “quale è la persona che più visitano?”:

- 64 medici hanno risposto la persona sola e anziana: 3 più volte al giorno, 40 più volte alla settimana, 20 ogni quindici giorni, 1 una volta al mese. Vivendo in solitudine cerca di far salotto nella sala d’attesa confidando le sue premure e raccontando la sua vita familiare e le sue malattie. Si tratta di vecchietti che nei mesi invernali soffrono il freddo e si rifugiano nell’ambulatorio. Spesso sono troppo emaciati e anemici perché si nutrono poco, ma nonostante ciò fanno parsimonia per racimolare denaro per i funerali e magari lasciano qualcosa in eredità

- 63 medici hanno risposto l’ipocondriaco: 10 più volte al giorno, 35 più volte alla settimana, 13 ogni quindici giorni e 5 una volta al mese. La definizione della patologia è la fobia di essere ammalato o convinzione di avere una grave malattia, anche se ciò non è vero. Il disturbo dura da almeno sei mesi, con una incidenza/prevalenza del 10% pazienti/ medico. La frequenza è uguale in entrambi i sessi. Si manifesta in tutte le età; il picco è fra 30 e 40 anni nei maschi e fra 40 e 50 anni nelle femmine.

Inizialmente l’ipocondria è psicogena, ma il paziente può avere un’ipersensibilità congenita nei confronti delle funzioni e delle sensazioni dell’organismo e una bassa soglia per il dolore e il disagio fisico. L’aggressività verso gli altri viene diretta contro se stessi verso un organo bersaglio (8). Il 15-30% dei pazienti con disturbo ipocondriaco ha problemi fisici. La ricerca di una malattia organica può peggiorare la situazione, poiché focalizza eccessivamente l’attenzione sul disturbo fisico.

La diagnosi differenziale bisogna farla con le seguenti malattie: depressione, disturbi d’ansia, disturbo di somatizzazione, disturbo algico, simulazione e disturbi fittizi e disfunzione sessuale.
Una riflessione è ovvia: quanti di questi sono sovra diagnosticati e pertanto non curati? Nei loro confronti abbiamo la giusta misura teorica e pratica? Siamo superficiali o troppo empatici?(7)
Una delle problematiche che più viviamo in conflittualità con il paziente è la ricerca spasmodica della patologia che lo attanaglia. Pertanto l’errore è sovrano.

Il MMG cerca di adottare delle contromisure che tengono conto di diversi fattori critici:
1) la complessità raggiunta dalla medicina, che aumenta di per se la probabilità di sbagliare, a causa della differenziazione funzionale del sapere, sia qualitativa (la proliferazione di specializzazioni e sottospecializzazioni) sia quantitativa (la crescita esponenziale delle informazioni biomediche
2) la consapevolezza dei propri limiti e della necessità di convivere con l’incertezza connaturata al contesto delle cure primarie
3) il rischio di sopravvalutare o sottovalutare la propria capacità d’intervento
4) l’introduzione di nuovi strumenti diagnostici che possono aumentare la probabilità di decisioni scorrette in fase prescrittiva e interpretativa (11)

- 58 medici hanno risposto problemi clinici diversi e richiesta spasmodica di più consulenze specialistiche: 2 più volte al giorno, 23 più volte alla settimana, 28 ogni quindici giorni, 5 una volta al mese. Nei confronti di questi pazienti correggiamo l’errore durante il percorso? O li inviamo allo specialista considerando che l’ultimo è quello che fa la diagnosi? Sarà l’ultimo? Pertanto il paziente si sente insoddisfatto sia del curante che dello specialista che con troppa superficialità risolve il problema aumentando l’angoscia e la tristezza

Conclusioni: quali strategie adottare? Noi consigliamo questa flow-chart (12-2):

 

 

conclusioni

 

 

Le maggiori cause di sofferenza e angoscia descritte dai medici di fronte alle relazioni critiche sono la frustrazione per la perdita di controllo nei confronti del paziente e del processo assistenziale, la situazione di stallo con il malato dove niente lo può aiutare e la possibilità che, dando spazio al paziente, possa aprirsi un vaso di Pandora di richieste inesauribili. Bisogna ridefinire questi sentimenti e questi stati emozionali come una risposta ragionevole alla situazione relazionale che si è creata o come risonanza degli stati affettivi del paziente.


Il medico può migliorare la relazione facendo autocritica oppure, con l’approccio narrativo, presentare le relazioni critiche a gruppi di lavoro o con semplici incontri informali con i colleghi.

Se questo non succede si possono avere due evenienze:
1) il paziente trasloca in altro distretto
2) il paziente cambia medico.

Bibliografia
1. Pitschaider E. Il paziente difficile e il medico di medicina generale. Trento per il corso di formazione specifica in medicina generale, 2000
2. Jackson JL et al. Difficult patient encounters in the ambulatory clinic: clinical predictors and outcomes. Arch Intern Med 1999; 159 (10): 1069-1075
3. Vender S., Callegari C., Poloni N., Tarantola L.: I disturbi somatici come espressione di una patologia depressiva. Quad. It. Psichiatria, XW, 1-2: 25-35, 1995
4. Kellner R. Somatization and Hypochondriasis. New York: Praeger 1986
5. Kellner R. Somatization. J Nerv Ment Dis 178:150-160, 1990
6. Neal RD et al. Frequency of patients’ consulting in general practice and workload generated by frequent attenders: comparisons between practices. Br J Gen Pract 1998; 48 (426):895-898
7. Altamura A. C ., Carta M. G.: la comorbidità fra disturbi depressivi, ansiosi e somatoformi. I° Congresso Naz. Soc. Ital. Di psicopatologia. Torino, 22-24 febb. 1996. Abstracts,16
8. Tamburano G. A.: Personalità depressiva e disturbi somatoformi. VI Congr. Naz. Soc. Ital. Di Psicologia Medica. Milano, 1-3 marzo 1996. Abstracts,26
9. Corney RH et al. Managing the difficult patient: practical suggestion from a study day. J R Coll Gen Pract 1988; 38; 349-352
10. Gill D et al M. Frequent consulters in general practice : a systematic review of studies of prevalence, associations and outcome. J Psychosom Res 1999; 47 (2):115-130
11.Wise TN. The somatizing patient. Ann Clin Psychiatry 4:9-17, 1992
12. Tatossian A.: Phenomonologie du corps. In : Seddi E. (Eds.) « Corps e depression ». Masson ed., Paris, 1982

 

Categorie correlate:

Malattie, cure, ricerca medica




Colucci Giovanni
Medico di Medicina Generale



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