Operazione Cataratta - Quando la "capsula" si rompe ed il cristallino opaco va giù...
Cosa comporta la rottura della capsula posteriore con frammenti di cataratta caduti in camera vitrea
Chirurgia della cataratta e rottura della capsula
Tutti i chirurghi si confrontano periodicamente con la rottura della capsula posteriore e, infatti, nel titolo abbiamo usato il termine "quando" e non "se". Qualsiasi chirurgo della cataratta, infatti, sa che la "capsula posteriore", su cui si poggia il cristallino catarattoso (e poi quello artificiale) si può rompere e determinare lo spostamento in "camera vitrea" di pezzi di cataratta. Ciò può accadere molte volte, visto che la frequenza riportata di rottura della capsula posteriore varia dal 2% al 5% del totale di interventi di cataratta. Anche i chirurghi più esperti e talentuosi possono rientrare in questa percentuale di complicazioni, che non è mai dello 0%.
Con uno spessore medio di soli 4-9 micron, la delicata capsula posteriore può rompersi in diverse fasi di chirurgia della cataratta. Quando si verifica questo evento, il rischio di complicanze aumenta, ed è infatti dimostrato che l'endoftalmite (infezione interna dell'occhio) e l'edema maculare cistoide (rigonfiamento della parte centrale della retina) si verificano più spesso rispetto a quando la capsula posteriore resta intatta.
Se viene gestita correttamente, la rottura della capsula posteriore con frammenti di cataratta caduti in camera vitrea non è certo da considerare un caso di "intervento sbagliato". Consideriamo questo scenario: un paziente firma il consenso informato e si sottopone a chirurgia della cataratta, durante la quale si rompe la capsula posteriore ed il nucleo della cataratta "va giù". Il chirurgo della cataratta non può recuperare il nucleo dalla camera vitrea, ma si prende il tempo necessario per rimuovere il vitreo dalla camera anteriore (fuoriuscito per la rottura della capsula) ed impiantare, se possibile, la lente intraoculare nel "sulcus". Al termine dell'intervento, viene data informazione al paziente ed ai suoi familiari di quanto accaduto. Il giorno successivo, il chirurgo della cataratta chiede al suo collega che si occupa di chirurgia vitreo-retinica di visitare il paziente e di approntare un intervento di vitrectomia. Si tratta di un percorso con tempi di recupero più lunghi, ma il paziente può ottenere comunque una buona ripresa della propria capacità visiva.
In questo caso, il paziente è stato correttamente informato del rischio che poteva occorrere con l'intervento chirurgico e la complicanza si è realmente manifestata. Il chirurgo della cataratta ha gestito la complicanza intra-operatoria bene e non ha esitato ad inviare il paziente al chirurgo vitreo-retinico. Le complicazioni capitano a tutti i chirurghi e, anche se l'incidenza è bassa, interessa comunque una piccola percentuale dei nostri pazienti. Dobbiamo lavorare sodo per ridurre il nostro tasso di complicanze ed impegnarci per perfezionarci sempre più, rendendo l'intervento chirurgico più sicuro. Abbiamo l'obbligo di fare ciò che è meglio per i nostri pazienti durante queste situazioni complesse, ma non dobbiamo lasciare che la paura di una complicazione ci impedisca di aiutare i milioni di pazienti che beneficiano della chirurgia della cataratta ogni anno.
Antonio Pascotto