Sindrome dell'ovaio policistico

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Sindrome dell'ovaio policistico

07-02-2011 - scritto da EndocrinologiaOggi

La sindrome dell’ovaio policistico è uno dei disturbi più comuni nelle donne in età fertile e rappresenta la causa più frequente di infertilità legata ad anovularità cronica.

Cos'è e come trattare la sindrome dell'ovaio policistico.

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) è una sindrome complessa caratterizzata da un quadro anatomopatologico costituito da ovaie ingrandite e micropolicistiche e da un quadro clinico caratterizzato sia da alterazioni endocrinologiche (iperandrogenismo,disordini del ciclo mestruale,obesità) sia da alterazioni metaboliche che configurano, in tal modo, una complessa sindrome dismetabolica chiamata, appunto, sindrome dell’ovaio policistico, che è importante per le implicazioni che ha sulla salute della donna, sia dal punto di vista estetico, riproduttivo e metabolico.
Stein e Leventhal nel 1935 hanno descritto per la prima volta una sindrome caratterizzata da ovaie micropolicistiche associate a disturbi del ciclo mestruale, irsutismo e obesità. Solo successivamente, però, sono stati individuati i meccanismi fisiopatogenetici e le altre disfunzioni metaboliche che rendono la policistosi ovarica (PCO) una patologia molto più complessa di quella originariamente descritta da Stein e Leventhal.
Si tratta, infatti, di una disfunzione molto complessa che coinvolge l’ipotalamo, l’ipofisi, le ovaie, il surrene e il tessuto adiposo periferico che, quindi, sono contemporaneamente coinvolti nella patogenesi della sindrome.

EPIDEMIOLOGIA
La sindrome dell’ovaio policistico è uno dei disturbi più comuni nelle donne in età fertile e rappresenta la causa più frequente di infertilità legata ad anovularità cronica.
Colpisce una percentuale della popolazione variabile tra il 5 e il 10 %, interessando soprattutto la popolazione mediterranea di razza bianca. Esordisce spesso nel periodo adolescenziale con le irregolarità mestruali e si manifesta con le disfunzioni metaboliche prevalentemente in epoca perimenopausale.
E’ documentata una familiarità nel 50% dei casi ma non è stato ancora dimostrato un esatto meccanismo di trasmissione familiare.
Probabilmente, sia la presenza di ipertricosi in epoca prepuberale, sia il sovrappeso (con basso peso alla nascita) sono da considerare dei possibili fattori di rischio per lo sviluppo di PCOs.


EZIOPATOGENESI
L’eziopatogenesi della PCOs è di tipo multifattoriale; tutti questi fattori agiscono determinando un vero e proprio circolo vizioso che porta, alla fine, al quadro sindromico successivamente descritto. Non è ancora chiaro, allo stato attuale, quale sia l’evento patogenetico che innesca la reazione a catena. Quello che appare certo, invece, è che, a prescindere da quale sia l’evento iniziale, si determina una condizione di iperandrogenismo (probabilmente relata ad una ipertecosi, ovvero una maggior attività delle cellule della teca), che innesca una eccessiva produzione aciclica di estrone e che a sua volta determina una iperproduzione di gonadotropine (soprattutto di LH, perché la sintesi di FSH è frenata dall’inibina). L’azione finale dell’LH, infatti, è maggiore, e non solo perché si ha un aumento della frequenza e dell’ampiezza dei suoi picchi secretori, ma anche perchè, come hanno dimostrato alcuni studi, vi è una maggiore attività biologica dell’LH spiegabile, probabilmente, con una aumentata glicosilazione della molecola stessa.
Per quanto precedentemente detto, si determina, così, un incrementato rapporto LH/FSH che causa, a sua volta, un mancata maturazione follicolare (e quindi anovularità) e una iperstimolazione delle cellule tecali con iperproduzione di androgeni. Questi ultimi, infine, perpetuano e amplificano il circolo vizioso.
Nel determinare l’iperandrogenismo, inoltre, possono concorrere altri fattori, come per esempio: a) un eccesso di sintesi di androgeni a livello surrenalico; b) l’insulino resistenza; c) la possibile presenza (soprattutto nei casi familiari) di lievi difetti enzimatici della steroiodogenesi ovarica e surrenalica.
A conferma del fatto che l’iperandrogenismo presente in questa sindrome sia l’effetto di un meccanismo disregolativo presente sia a livello ovarico che surrenalico, vi è la dimostrazione dell’iperattività dell’enzima P450c17, l’unico enzima in grado di convertire i precursori C21 nei pre-ormoni steroidei. Questa aumentata attività intrinseca dell’enzima P450c17 è stata dimostrata sia nell’ovaio che nel surrene di pazienti con PCOs ed è, probabilmente, dovuta al grado di fosforilazione di alcuni residui amminoacidici di serina dell’enzima stesso. Probabilmente una mutazione del gene codificante per questa fosforilasi è la responsabile dell’iperfunzione dell’enzima. Questa iperattività enzimatica è dimostrata dalla iperfunzione della teca follicolare, regione deputata alla produzione degli androgeni e in cui è particolarmente attivo l’enzima P450c17 (ipertecosi ovarica). Questa iperfunzione non è solo anatomica ma anche funzionale perché a parità di superficie la teca dell’ovaio policistico funziona di più rispetto a quella di un ovaio normale e pertanto produce più androgeni.
Altri autori, invece, affermano che l’aumentata produzione di androgeni non sia dovuta ad un difetto comune dell’enzima P450c17 espresso sia livello ovarico che surrenalico, ma che avvenga, inizialmente, solo a livello ovarico e solo successivamente coinvolga il surrene. Questa teoria è confermata da studi che dimostrano che il diidrotestisterone (DHT), se somministrato in cavie in vivo, determina una ipertrofia della zona reticolare e , in vitro, su colture di cellule surrenaliche, aumenta l’effetto dell’ACTH sulla produzione di DHEAS e cortisolo.
Altri studi, invece, hanno evidenziato, un’alterata espressione di alcuni geni, ma solo a livello ovarico. Si tratta di una aumentata espressione del gene CYP11a che codifica per l’enzima P450 scc (side chain cleavage) e che catalizza il distacco della catena laterale del colesterolo, primo passaggio della sintesi degli ormoni steroidei.
Parallelamente, per motivi ancora oscuri, nell’ovaio policistico si assiste, anche, ad una ridotta conversione degli androgeni in estrogeni a livello della granulosa, determinando, così, un eccesso locale di androgeni che provoca la regressione maturativa dei follicoli (atresia follicolare cronica). Questo determina, a sua volta, una riduzione delle cellule della granulosa e conseguentemente un’ulteriore riduzione della capacità di sintetizzare estrogeni.
Anche l’iperinsulinismo presente nelle pazienti con PCOs contribuisce, in modo non trascurabile, all’iperandrogenismo. Non a caso, infatti, in passato l’insulina veniva chiamata cogonadotropina; essa, infatti, agisce sull’ovaio in modo sinergico con l’LH determinando, in tal modo, un ulteriore aumento della concentrazione di androgeni; è stato dimostrato, inoltre, che l’effetto sull’ovaio derivante dall’azione di entrambe le sostanze (LH e insulina) è maggiore della semplice sommatoria dei due effetti.
L’iperinsulinismo è una conseguenza dell’insulino-resistenza che si riscontra a livello recettoriale. Il grado di insulino-resistenza è determinato dal grado di fosforilazione del recettore che, a sua volta, è determinato dall’attività di una fosforilasi. E’ probabile che una mutazione in una singola chinasi potrebbe iperfosforilare sia l’enzima P450c17, determinando una iperproduzione di androgeni, che il recettore insulinico, determinando insulino-resistenza e iperinsulinismo.
L’insulina, quindi, contribuirebbe all’iperandrogenismo anche con altri meccanismi: a) stimolazione del pulse generator ipotalamico con aumento della sintesi di LH; b) stimolazione diretta delle cellule tecali; c) riduzione della SHBG con aumento della quota libera di androgeni; d) mantenimento dell’obesità e del grasso viscerale a livello del quale avviene la conversione degli androgeni in estrogeni, ma ciò avviene in modo aciclico e l’estrogeno prodotto non è l’estradiolo ma l’estrone; questa produzione è pertanto ritmicamente e ormonalmente scorretta; e) potenziamento dell’azione dell’ACTH sul surrene determinando un aumento della sintesi surrenalica di androgeni.
L’estrone prodotto aciclicamente, inoltre, determina (esattamente come l’insulina) la scomparsa della ciclicità del pulse generator ipotalamico e la stimolazione con feedback positivo dell’LH determinando un aumento relativo dell’LH rispetto all’FSH. Anche questo contribuisce a mantenere il circolo vizioso che determina la sindrome.
Da quanto precedentemente descritto si evince che l’insulino-resistenza non si manifesta a livello ovarico. Il perché di questo fenomeno non è chiaro ma può essere spiegato da tre teorie: 1) l’IGF-1, che fisiologicamente media l’azione dell’insulina, agisce sui recettori ovarici dell’IGF-1 bypassando l’insulino resistenza; 2) l’insulina si lega ai recettori ovarici dell’IGF-1 (e non ai propri in cui vi è resistenza), bypassando, in tal modo, l’insulino resistenza; 3) presenza di improbabili recettori ibridi che leghino sia l’insulina che l’IGF-1.
Nel 40% dei casi sono stati riscontrati anche valori elevati di prolattina, in conseguenza agli aumentati livelli circolanti di estrone, che possono contribuire a determinare le irregolarità del ciclo mestruale.
In conclusione la PCOs è il risultato finale comune di una serie di meccanismi patogenetici differenti che, una volta avviata la sindrome, tendono ad alimentarsi reciprocamente, generando un circolo vizioso.


ANATOMIA PATOLOGICA
L’ovaio policistico è spesso ingrandito, liscio o mammellonato, con un aumentato spessore corticale. A livello sottocapsulare sono presenti numerose cisti ovariche (microcisti) di diametro variabile (4-7 mm) con ridotto numero di cellule della granulosa e iperplasia delle cellule tecali. Quest’ultimo aspetto anatomopatologico è il dato di più frequente riscontro. Le cisti non sono altro che follicoli antrali, bloccati nel loro stadio di sviluppo, ma che non sono andati in contro ad atresia. Occasionalmente possono essere presenti corpi lutei o corpi albicanti.
La presenza di cisti ovariche non è una condizione necessaria per effettuare la diagnosi di sindrome dell’ovaio policistico e, al contrario, la presenza di cisti ovariche (ovaio policistico) non necessariamente implica la presenza di una sindrome dell’ovaio policistico (PCOs). L’ovaio policistico e la sindrome dell’ovaio policistico sono due entità diverse che vanno chiaramente distinte.


CLINICA
La manifestazione clinica della PCOs è il risultato di una complessa serie di alterazioni di meccanismi fisiologici, per cui non sempre si assiste ad una piena espressione di questa sindrome. La PCOs, solitamente, si manifesta in epoca puberale con disordini mestruali, irsutismo e obesità. Accanto ai disturbi endocrini vi sono anche dei disturbi metabolici che però diventano via via più importanti con il progredire del tempo fino a divenire predominanti dopo la menopausa.
I disturbi endocrinologici più frequenti comprendono la classica triade : 1) irregolarità mestruali (80%) (oligomenorrea, amenorrea, metrorragie, infertilità); 2) iperandrogenismo (60%) (irsutismo, acne, alopecia); 3) obesità (50%).
I disturbi metabolici più frequenti, invece, sono intolleranza glucidica, diabete mellito, dislipidemie, difetti fibrinolitici con iperfibrinogemia e un maggior rischio cardiovascolare, ipertensione.
Le irregolarità mestruali compaiono in età puberale, con cicli mestruali che si distanziano sempre di più l’uno dall’altro fino a sfociare nell’amenorrea permanente. I disordini mestruali sono presenti in quasi la totalità delle pazienti giungendo all’amenorrea nel 50-60% dei casi; sanguinamenti funzionali sono riscontrati nel 25% dei pazienti, mentre l’infertilità è presente nel 70-85% dei casi.
L’iperandrogenismo, invece, si manifesta prevalentemente con irsutismo. L’anomala presenza di pelo terminale riguarda prevalentemente il labbro superiore, il mento, il solco intermammario, gli avambracci, la linea alba, le cosce e le gambe. Va segnalato, però, che non sempre l’iperandrogenismo va di pari passo con l’irsutismo.
Frequente, anche, il riscontro di seborrea ed acne. La seborrea è legata alla produzione sovrafisiologica di secreto da parte delle ghiandole sebacee che sono iperstimolate dalle elevate concentrazioni di androgeni. L’acne, invece, è causata dall’occlusione dei pori cutanei con conseguente infiammazione e formazione di pus all’interno del poro stesso. L’iperandrogenismo, infatti, causa delle modificazioni della composizione del sebo ghiandolare che conducono a ipercheratosi del dotto escretore con fenomeni di congestione del sebo all’interno del dotto stesso. Il risultato è la formazione di comedoni. Inoltre, l’azione sul secreto ghiandolare da parte delle esterasi prodotte dal Corynebacterium acnes (batterio fisiologicamente presente all’interno del dotto escretore) determina un infiammazione perifocale dei tessuti circostanti.
Un sintomo più raro dell’iperandrogenismo è l’alopecia. Il meccanismo fisiopatogenetico è simile a quello dell’alopecia androgenetica maschile; si assiste, cioè, ad un assottigliamento del diametro del capello con atrofizzazione del follicolo pilifero; si distingue, però, da quella maschile perché la diminuzione della densità dei follicoli avviene in modo diffuso su tutto il cuoio capelluto e non riguarda solo un regione localizzata.
L’obesità, invece, è presente nel 50% delle donne con PCOs ed è spesso associata ad uno stato di iperinsulinismo legato, a sua volta, all’insulino-resistenza. Quest’ultima dà un contributo importante nel determinare l’iperandrogenismo come precedentemente spiegato. L’insulino-resistenza, infatti, è presente ed ha un ruolo fondamentale nella genesi della sindrome nel 33% delle donne magre con PCOs. Nel restante 66% di donne magre l’insulino-resistenza è assente e pertanto gioca un ruolo minimo nella genesi dell’iperandrogenismo che, quindi, è da ricondursi più probabilmente agli altri meccanismi patogenetici precedentemente descritti.
I disturbi metabolici più frequenti sono quelli classicamente legati all’insulino-resistenza e solitamente diventano predominanti con l’avanzare dell’età. Di frequente riscontro sono: alterazioni del profilo lipidico (con aumento dei trigliceridi e riduzione del colesterolo HDL), ridotta tolleranza glucidica o diabete mellito di tipo 2 (celebre l’espressione “diabete della donna barbuta”), iperfibrinogemia e difetti fibrinolitici, ipertensione arteriosa.
Tutte queste alterazioni metaboliche sono alla base dell’aumentato rischio cardiovascolare delle donne affette da PCOs. Ma poiché queste alterazioni metaboliche nelle giovani donne sono molto sfumate e si fanno evidenti solo dopo la menopausa spesso vengono sottovalutate. E’ ancore dibattuto se un trattamento precoce delle alterazioni metaboliche sia opportuno o meno, ma quello che appare oramai certo è la PCOs è una patologia endocrino-metabolica e pertanto la valutazione di queste pazienti non può esaurirsi negli aspetti strettamente endocrinologicie riproduttivi ma deve coinvolgere anche alcuni parametri metabolici.


DIAGNOSI
La PCOs è definita come una condizione di iperandrogenismo (documentato clinicamente o biochimicamente) e anovulazione cronica, in assenza di altre patologie che possano essere responsabili di tali manifestazioni. Pertanto la diagnosi di PCOs è di esclusione.
Sono di frequente riscontro valori elevati di androgeni; possono riscontrarsi, infatti, alti valori di androgeni prodotti a livello ovarico (testosterone libero, DHT) e a livello surrenalico (Δ4-androstenedione, DHEA-S). Va ricordato, però, che solo il 50% delle pazienti con PCOs ha elevati valori di androgeni surrenalici. Anche i livelli di 17OH-Progesterone possono risultare elevati; quest’ultimo è di provenienza prevalentemente ovarica e non mostra, infatti, la classica sopprimibilità al desametazone e la stimolabilità all’ACTH tipica del deficit di 21-idrossilasi a comparsa tardiva (late onset); è presente, invece, una spiccata iper-risposta del 17OH-P al test di stimolo con analoghi del GnRH con picco dopo 20 ore dall’iniezione dello stimolo.
Si riscontrano spesso bassi valori di SHBG.
In condizioni fisiologiche durante la fase follicolare il rapporto LH/FSH è all’incirca pari a 1. Pertanto può essere utile, ai fini diagnostici, il riscontro di un rapporto LH/FSH >2 e una conservata responsività, se non addirittura una iper-risposta, dell’LH al GnRH.
Anche il rapporto E1/E2 a favore dell’estrone può essere utile per la diagnosi.
In alcuni casi è possibile il riscontro di valori elevati di PRL.
L’ecografia pelvica, invece, solitamente mostra un ovaio di dimensioni aumentate con presenza di numerose cisti ovariche in diverse stadi di maturazione (micropolicistosi). I reperti di questa indagine, però, vanno presi con cautela, sia perché possono esser riscontrati anche al di fuori della sindrome dell’ovaio policistico, sia perché il loro riscontro non implica necessariamente la presenza di una PCOs.


TERAPIA
L’approccio terapeutico corrente prevede la correzione sintomatica del disturbo per cui la paziente si reca dal medico. La terapia, quindi, può essere volta alla correzione dell’irsutismo, alla regolazione dei cicli mestruali e all’induzione dell’ovulazione nelle pazienti che vogliono ottenere una gravidanza. Un nuovo approccio terapeutico prevede anche il trattamento dell’insulino-resistenza.
Il trattamento va effettuato a due livelli. Il primo livello è quello preventivo; il secondo è quello terapeutico vero e proprio.
La prevenzione va effettuata soprattutto nelle donne che hanno dei fattori di rischio per lo sviluppo PCOs, ovvero la presenza di una ipertricosi prepuberale e/o un pubarca precoce, e il soprappeso in ragazze che riferiscono un basso peso alla nascita.
In questi casi l’attività preventiva consiste nel ridurre l’introito calorico e nell’aumentare l’attività fisica. Una dieta povera di grassi va proposta anche a quelle ragazze che, pur non essendo in sovrappeso, hanno una familiarità per PCOs.
La terapia non è solo farmacologia. E’ utile un calo ponderale, che deve essere effettuato molto lentamente (0,5 Kg la settimana) per evitare che la paziente riacquisti il peso perduto. La dieta ipocalorica determina una riduzione dell’iperinsulinemia e del testosterone ed un aumento della SHBG con regolarizzazione dei cicli nel40-50% dei casi. La ripresa della ciclicità mestruale è più frequente se alla terapia farmacologia si associa anche una buona perdita di peso. La dietoterapia, quindi, deve essere il primo approccio terapeutico nella donna obesa con PCOs. La terapia dell’irsutismo non si discosta da quella consigliata in tutte le altre condizioni che causano iperandrogenismo. Per la terapia dell’iperandrogenismo, pertanto, si rimanda alla trattazione dell’irsutismo.
Se l’obbiettivo principale da raggiungere è la regolarizzazione del ciclo mestruale la terapia consiste nell’assunzione di estroprogestinici (EP). Questo consente una regolarizzazione del ciclo che è, però, puramente cosmetica e i benefici per la paziente sono esclusivamente psicologici. Si tratta, quindi, di una terapia sintomatica che dopo la sospensione comporta la ripresa della sintomatologia. In alcuni casi, anzi, dopo la sospensione, è riportato addirittura un peggioramento del quadro metabolico probabilmente dovuto al fatto che gli estrogeni determinano un aumento dei livelli di insulina.
Comunque, attualmente, la terapia EP utilizzata prevede l’associazione di estrogeni con un progestinico che abbia anche caratteristiche antiandrogene in modo da ottenere il duplice effetto di regolarizzare il ciclo e di ridurre i segni dell’iperandrogenismo. Questa modalità terapeutica viene preferita anche se il trattamento dell’irsutismo non è l’obiettivo primario.
Una nuova prospettiva terapeutica è fornita dal alcuni ipoglicemizzanti orali che interverrebbero positivamente, interrompendo le connessioni patogenetiche tra l’iperinsulinemia e le alterazioni ormonali e metaboliche che si riscontrano nella PCOs. I dati attualmente in letteratura sono contrastanti.
La metformina sembra aumentare, in tempi brevi e indipendentemente dalla perdita di peso, la frequenza delle ovulazioni spontanee e delle ovulazioni indotte dal clomifene. La metformina, al dosaggio di 500 mg x 3 volte al dì (oppure 850 mg x 2 volte al dì) riduce la resistenza insulinica e migliora i parametri metabolici alterati (iperuricemia, ipercolesterolemia, iperfibrinogenemia). Si riducono, inoltre, anche i livelli di testosterone, soprattutto quello libero. Va ricordato, però, che la risposta a questo trattamento non avviene in tutte le pazienti, infatti, in alcune casistiche è riportata una percentuale di responders pari al 55%. Però, ben nell’80% delle pazienti responsive si sono ottenuti subito dei cicli ovulatori. I risultati sono più brillanti nelle donne in soprappeso e la probabilità di rispondere al trattamento è tanto maggiore quanto più alta è l’insulinemia, più bassi i livelli di androstenedione e più numerose le alterazioni del ciclo. I glitazoni, invece, non ancora in commercio in Italia, in unica dose giornaliera (400-600 mg) agiscono riducendo l’insulino-resistenza e riducendo i valori plasmatici di insulina e migliorano notevolmente la secrezione di androgeni da parte dell’ovaio. Va ricordato, infine, che l’esperienza con questi farmaci, non è molta e che i dati attuali sono spesso contrastanti; pertanto altri studi saranno necessari per accertare definitivamente l’efficacia di questi ipoglicemizzanti orali nella terapia della PCOs.
Nel caso si voglia ottenere una gravidanza è necessario indurre un’ovulazione. Dei cicli ovulatori si ottengono, solitamente, dopo la correzione del sovrappeso o immediatamente dopo la sospensione degli estro-progestinici. Qualora questo non avvenisse, l’ovulazione deve essere indotta farmacologicamente.
Il clomifene è uno dei farmaci che viene normalmente utilizzato a questo scopo. Il clomifene citrato è un estrogeno debole che si comporta anche da antiestrogeno. E’ disponibile sotto forma di due isomeri, trans e cis. La forma trans (enclomifene) e la forma cis (zuclomifene) sono presenti nei preparati commerciali nelle percentuali di 62 e 38% . Le due isoforme hanno dei profili farmacocinetici differenti; l’isomero (zu) è presente in circolo anche dopo un mese dalla somministrazione, mentre l’isomero (en), al contrario, non è più dosabile dopo 24 ore dalla somministrazione. L’isomero trans, però, è responsabile, quasi interamente, della capacità da parte del farmaco di indurre l’ovulazione.
Il meccanismo d’azione è incerto. E’ probabile che il farmaco interagisca con i recettori estrogenici ipotalamici, spiazzando l’estradiolo endogeno e creando data la sua attività biologica pressoché assente in questo distretto, una condizione artificiosa di ipoestrogenismo. I centri ipotalamici responsabili della liberazione del GnRH vengono in tal modo stimolati ad una maggior attività. Dopo la somministrazione di clomifene, infatti, la frequenza della secrezione pulsatile di LH e FSH è aumentata, mentre ne rimane invariata l’ampiezza. Condizione necessaria per l’efficacia del farmaco è la presenza di adeguati livelli di estrogeni. Il clomifene, pertanto, non ha nessun effetto in tutte le condizioni in cui la produzione estrogenica sia insufficiente. E’ indispensabile, inoltre, che l’intero asse ipotalamo-ipofisi-ovaio sia integro e funzionalmente idoneo a rispondere al farmaco. Quindi deve esser presente una normale produzione ipotalamica di GnRH, una risposta ipofisaria in FSH e LH ed una adeguata risposta ovarica in termini di follicologenesi e steroidogenesi.
Si somministrano 50 mg/die per 5 giorni (dal 2º al 5º giorno della comparsa della mestruazione). Se la paziente è in amenorrea, è preferibile indurre un sanguinamento simil-mestruale mediante la somministrazione di un progestinico (ad es. 10 mg/die di medrossiprogesterone acetato o di didrogesterone per os per 7 giorni). Lo sfaldamento endometriale così ottenuto favorisce il sincrono sviluppo della mucosa uterina durante l’induzione dell’ovulazione.
In caso di risposta ovulatoria (nel 50% dei casi) si continua con lo stesso dosaggio sino al conseguimento della gravidanza e, comunque, non oltre 6-8 cicli. Qualora la dose iniziale non sia sufficiente in termini di ovulazione si può aumentare di altri 50 mg/die nel ciclo successivo, tenendo presente che le pazienti non responsive a dosaggi di 150 mg/die difficilmente rispondono a dosaggi maggiori. In caso di ottenimento di gravidanza va segnalato un tasso di gemellarità (eterozigote) del 7%. L’induzione dell’ovulazione con clomifene si fonda sul potenziamento di meccanismi fisiologici preesistenti per cui la possibilità di una eccessiva e incongrua stimolazione delle ovaie è molto rara.
L’ovulazione nella PCOs viene indotta nell’80% dei casi, mentre la gravidanza si realizza in un 20% dei casi. La discrepanza tra gli effetti potrebbe essere imputata all’azione antiestrogena, che potrebbe alterare il muco cervicale e quindi la progressione degli spermatozooi. Per evitare tali inconvenienti si suggerisce di utilizzare dell’etinil estradiolo al dosaggio di 10 μg/die intorno al periodo ovulatorio. Qualora, dopo il passaggio a dosaggi maggiori, la risposta ovulatoria manchi è opportuno passare all’induzione mediante gonadotropine. L’associazione con desametazone (0,5-1 mg/die) incrementa le possibilità di successo del clomifene nelle pazienti con concomitante iperandrogenismo surrenalico.
Tra gli effetti collaterali del clomifene ricordiamo le vampate, come le donne in menopausa (11%), disturbi visivi (scotomi) (2%); la presenza di quest’ultimi impone la sospensione del trattamento. L’induzione dell’ovulazione, inoltre, può essere effettuata tramite la somministrazione di gonadotropine. Le gonadotropine utilizzate sono ottenute dalle urine di donne in post menopausa (menotropine). Ultimamente sono state introdotte gonadotropine ottenute con tecnica biosintetica da DNA ricombinante. Allo stato attuale sono disponibili solo preparati contenenti FSH ottenuti con tale metodica, ma è prevista in tempi brevi, anche l’introduzione dell’LH e della gonadotropina corionica (hCG). Lo scopo della terapia con gonadotropine, o per meglio dire con FSH, è agire sui follicoli nell’ultima fase del loro iter maturativo che, in condizioni fisiologiche, è limitata alle prime due settimane del ciclo mestruale nel quale avverrà l’ovulazione. L’FSH agisce sulle cellule della granulosa inducendone la proliferazione e stimolando la conversione, aromatasi dipendente, degli androgeni in estrogeni. L’obbiettivo è la monoovulazione. L’impiego di dosi maggiori di FSH, forzando i meccanismi fisiologici di retrocontrollo, porta a fenomeni di superovulazione (metodo utilizzato nelle tecniche di riproduzione assistita). La risposta biologica all’FSH esogeno è ariabile da donna a donna e pertanto non è possibile utilizzare l’FSH secondo schemi posologici prestabiliti. E’ necessario somministrare la dose giusta per ottenere una monoovulazione, senza correre il rischio di ovulazioni multiple o della sindrome da iperstimolazione. Pertanto è necessario monitorare strettamente la risposta biologica attraverso l’esecuzione di ecografie e del dosaggio del 17β-estradiolo. La sindrome da iperstimolazione ovarica è una condizione caratterizzata da aumentata permeabilità vascolare, con trasferimento dei fluidi al compartimento extracellulare, con conseguente ipovolemia ed emoconcentrazione e contemporaneamente versamenti ascitici, pleurici e pericardici.
Anche in questo caso è preferibile indurre una mestruazione con un progestinico o con l’estroprogestinico (nelle pazienti particolarmente ipoestrogeniche che non rispondono al solo progestinico). Poi si somministrano 50-75 mUI/die per 5-7 giorni e si procede alla quantificazione della risposta: il dosaggio rimarrà inalterato in caso di discreta crescita follicolare e di buoni livelli estrogenici. Quando la risposta viene valutata insufficiente il dosaggio può essere incremento secondo il protocollo a basse dosi (non più di mezza fiala per volta, 25-37,5 mUI) ad intervalli di una settimana. L’ovulazione poi, viene indotta dalla somministrazione di 5-10000 UI di hCG in presenza di un follicolo di almeno 16 mm di diametro e di livelli di 17β-estradiolo di 200-300 pg/ml.
Per evitare l’insorgenza di una sindrome da iperstimolazione ovarica è sufficiente, in presenza di più di tre follicoli > 16 mm o livelli di estrogeni > 300 pg/ml, astenersi dalla somministrazione di hCG.
Con questa tecnica si ottengono un 70-80% di cicli ovulatori con un 25% di gravidanze per ciclo ovulatorio. Le percentuali di successo, però, diminuiscono notevolmente nelle pazienti affette da policistosi ovarica (50-60% di cicli ovulatori con un 8% di gravidanze).
Il rischio di gravidanza multipla è molto elevato.
La tecnica del GnRH pulsatile è molto complessa e prevede l’utilizzo di microinfusori con cui si somministra GnRH alla dose di 5 mg e.v. ogni 60-90 minuti. Una volta ottenuta l’ovulazione si rimuove il microinfusore e la funzione luteinica va mantenuta somministrando 1000-2000 UI di hCG ogni terzo giorno per tre volte. I risultati sono lusinghieri (90% di cicli ovulatori) soprattutto nei casi amenorrea ipogonadotropa.
Per la PCOs non è indicato alcun intervento chirurgico; la resezione cuneiforme, molto applicata in passato, è oramai effettuata raramente e va riservata a casi specifici.


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Dott. Massimiliano Andrioli

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