Cancro alla prostata: questione di geni

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Cancro alla prostata: questione di geni

17-02-2010 - scritto da Viviana Vischi

I risultati della ricerca scientifica portano a sei il numero delle alterazioni geniche legate al cancro alla prostata

Il cancro alla prostata e l’importanza della prevenzione e dell’alimentazione: ortaggi gialli, pomodori, peperoncino e tè verde

16/04/2007 - Una nuova scoperta scientifica conferma una volta di più che il cancro alla prostata avrebbe cause genetiche. Alcuni scienziati dell’Università di Harvard hanno infatti individuato ben cinque nuove varianti a un frammento di DNA nelle regione del cromosoma 8 presenti in pazienti colpiti dal tumore. Lo scorso anno era stata identificata un’altra mutazione genica presente nelle vittime della neoplasia. La recente scoperta porta così a sei il numero delle alterazioni legate a questo tipo di cancro.
Secondo il rapporto pubblicato su “Nature Genetics”, i pazienti portatori di queste varianti rischierebbero cinque volte più degli altri di sviluppare il cancro della prostata; inoltre, i cambiamenti genetici sono più presenti negli afro-americani e questo spiegherebbe la più alta incidenza del tumore fra i neri americani.
Con questa scoperta si pensa di avere aperto una strada per mettere a punto un test capace di identificare gli individui a più alto rischio di cancro.
La prostata è una piccola ghiandola posta sotto la vescica, poco più grande di una castagna, che riveste un ruolo importante nella produzione del liquido seminale ma che giovani e meno giovani conoscono ancora troppo poco. Molto spesso trascurate, sottovalutate o addirittura completamente sconosciute, le affezioni di questo organo causano invece malattie che possono incidere seriamente sulla qualità della vita, senza distinzione di età.
Le malattie più comuni della prostata sono le prostatiti, l’ipertrofia prostatica benigna e, appunto, il tumore della prostata: un tipo di cancro che, negli stadi iniziali, è spesso asintomatico perché origina nelle zone periferiche della prostata e, solo in una fase successiva, può dare una sintomatologia importante come ad esempio disturbi nel fare pipì.
Il cancro della prostata è il secondo tumore più frequente nei paesi industrializzati, ma in Italia è il primo in assoluto tra i tumori maligni dell’uomo: 43.000 nuovi casi all’anno. Le patologie prostatiche possono presentarsi ad ogni età. Tuttavia, mentre le prostatiti colpiscono prevalentemente nella fascia di età che va dai 20 ai 50 anni, l’ipertrofia prostatica benigna e il tumore alla prostata insorgono più tardi e crescono dopo i 50 anni.
Come è ormai assodato in oncologia, la prevenzione è la chiave per l’abbattimento della mortalità: non solo in età avanzata, ma anche tra i giovani. Un semplice esame del sangue, un’esplorazione rettale o un’ecografia possono in molti casi essere sufficienti a diagnosticare precocemente le patologie e migliorarne la terapia e l’evoluzione. Soprattutto nel caso di un tumore della prostata una diagnosi precoce può significare una guarigione completa dalla malattia.Eppure tutto questo risulta ancora oggi un concetto poco diffuso tra gli uomini italiani. Bisogna abbattere i muri dell’imbarazzo e dell’indecisione. L’urologo deve diventare per gli uomini ciò che il ginecologo è per le donne: un appuntamento da non mancare.
Esami e controlli periodici, dunque. Ma occhio anche all’alimentazione. Una dieta mediterranea equilibrata, povera di grassi e ricca di frutta e verdura (soprattutto ortaggi gialli, pomodori e peperoni dotati di proprietà antiossidanti, selenio e sostanze ricche di vitamina A, D, E) può essere molto utile per prevenire il cancro alla prostata. Secondo una ricerca dell’Università di Los Angeles, ottimo anche il peperoncino: l’80% delle cellule malate è indotto al suicidio dalla capsaicina, la molecola che dona il gusto piccante alla spezia. Infine, secondo uno studio delle Università di Parma, Modena e Reggio Emilia, particolarmente efficace risulta essere il tè verde. La dose ideale corrisponde a circa 10/20 tazze al giorno: un quantitativo simile a quello consumato nei Paesi orientali, dove infatti questa patologia incide meno. Per mantenerne inalterati i principi attivi bisogna metterne un paio di grammi sul fondo della tazza, e riempirla con una parte di acqua fredda e una di acqua calda. L’acqua bollente, infatti, deteriora le foglie di tè verde. Dopo averlo lasciato in infusione per qualche minuto, filtrarlo e aggiungere eventualmente limone e zucchero. Non aggiungere mai il latte: la caseina rischia di neutralizzare i polifenoli, le componenti più benefiche del tè verde.



A cura di Viviana Vischi, Giornalista professionista iscritta all'Albo dal 2002, Direttore Responsabile di diverse testate giornalistiche digitali in campo medico-scientifico.
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