Il dito a martello o lesione di Segond
]Esperienza con trattamento a “manico d’ombrello”
La frattura articolare della falange distale di un dito della mano ove si inserisce il tendine estensore è stata definita dalla letteratura anglosassone come “mallet fracture”.
Nel 1880 fu Segond per la prima volta che descrisse il dito a martello post-traumatico comprendendo sia il quadro clinico dovuto alla sola lesione del tendine estensore che quello con la frattura articolare della falange distale. Nei casi di rottura del solo apparato estensore anche associata anche a frammento osseo di piccole dimensioni il trattamento universalmente è incruento, mentre il dito a martello osseo propriamente detto necessità di un trattamento chirurgico .Sono molteplici e differenti le tecniche chirurgiche suggerite per questa patologia. Il meccanismo traumatico della lesione di Segond può essere diretto o indiretto. La tecnica “a manico d’ombrello”, che noi utilizziamo con alcune modifiche, si esegue in anestesia digitale, con l’ausilio di un amplificatore di brillanza.
Eseguiamo la transfissione del frammento dorsale dislocato con un filo di Kirschner del diametro di 1 mm., diretto in senso dorso volare. Poi si attraversa anche la falange distale fino ad uscirne volarmente. Il tutto viene fatto sotto controllo amplioscopico. Poi si arriccia l’estremità dorsale del filo di K. che tirerà, previa minima incisione cutanea, agganciando il frammento distale con la sua bendelletta dell’estensore. Il filo di K. Viene trazionato volarmente fino ad ottenere la riduzione della frattura. Rispetto a Fanfani e coll. la controspinta viene mantenuta da un “piombino da pesca” applicato volarmente alla cute bloccando il filo di K. che si àncora alla stessa pallina di piombo.
Questo stabilizza la frattura e permette la distribuzione della pressione su un’ampia superficie. A fine intervento viene applicato un piccolo tutore dorsale per 5 giorni, dopo procediamo alla precoce mobilizzazione dell’articolazione interfalangea prossimale. Rimuoviamo il filo di K. dopo 6 settimane. Con tale tecnica dal Gennaio 1999 abbiamo trattato 26 casi (20 uomini e 6 donne, età media 30, minima 18, max 48), di questi, solo 10 hanno subito il danno durante un attività sportiva.
Abbiamo eseguito sempre un controllo radiografico pre e post-operatorio in AP e LL. Abbiamo classificato le fratture secondo la classificazione di Wehbe e Schneider: 7 casi tipo 1-B (senza sublussazione con frammento fra 1/3 e 2/3 della superficie articolare), 5 casi tipo 1-C (con frammento di dimensioni maggiore a 2/3 della superficie articolare), 6 casi tipo 2-B (con sublussazione del frammento che è grande tra 1/3 e 2/3) e 8 casi ( frammento maggiore di 2/3 della superficie articolare e sublussato). Sono stati controllati settimanalmente anche con medicazioni.
La rimozione è stata effettuata a 6 settimane in Day-Surgery previo controllo radiografico.
Il risultato finale, controllo a 2 mesi dalla rimozione del filo transosseo, è stato buono in 14 casi, ottimo in 9 casi, soddisfacente in 1 caso, cattivo 1 caso e 1 caso non si è presentato. L’esito cattivo è stato dovuto a una mobilizzazione del filo di K a causa di un trauma involontario sul dito operato. Questa patologia è di frequente riscontro, ben conosciamo il meccanismo di lesione che può essere con un trauma assiale o con una flessione forzata e violenta della falange distale con il dito in estensione. L’evoluzione della lesione non trattata può essere subdola. Può portare ad una perdita delle capacità di estensione della falange distale con possibile successiva comparsa della deformità a collo di cigno.Le tecniche di comune utilizzo comportano l’apertura del focolaio di frattura che possono provocare una rigidità, frequenti complicanze come infezioni, deformità residua, dolore, formazione di cicatrici .
Con la procedura indicata, proposta da Fanfani e coll., abbiamo ottenuto una riduzione il più anatomica possibile, mantenuta fino alla consolidazione ed è stata permessa una mobilizzazione precoce. A garanzia di un buon risultato siamo stati obbligati a seguire scrupolosamente i pazienti nel post-operatorio e informarli più volte sui rischi connessi al fatto se non si attenevano alle regole imposte anche da seguire al proprio domicilio. Riteniamo tale tecnica indicata nei pazienti che hanno subito nel trauma il distacco di un grosso frammento scomposto o sublussato della base della falange distale almeno maggiore di 1/3 della superficie articolare. Tale tecnica ci ha permesso di iniziare una mobilizzazione precoce dopo cinque giorni dall’intervento. Unico difetto come altre tecniche analoghe la sovraesposizione a radiazioni degli operatori.
Figura 1A
Figura 1B
Figura 1C
Figura 1 Maschio di 16 anni, mano destra. Secondo dito a martello con avulsione ossea minore del 50% della superficie articolare. A) Esame radiografico pre-operatorio. B) Controllo radiografico post-operatorio. C) Controllo clinico a 3 mesi dall’intervento
Figura 2A
Figura 2B
Figura 2C
Figura 2D
Figura 2. Femmina di 40 anni.. Quarto dito a martello con avulsione ossea minore del 50% della superficie articolare con sublussazione.
A) Quadro clinico preoperatorio.
B) Quadro Rx preoperatorio.
C) Quadro Rx postoperatorio.
D) Quadro clinico postoperatorio a18 gg
Dott. Giuseppe Internullo
Specialista in Ortopedia
Via Romano, 24 CALTAGIRONE (CT)
Per informazioni 0933-23843
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