“Pet Therapy”: un cane per amico

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“Pet Therapy”: un cane per amico

15-03-2010 - scritto da Viviana Vischi

Il rapporto con un cane è un’esperienza unica, che spesso arricchisce la vita quotidiana del suo padrone, ma non solo

L’utilizzo degli animali come terapia per migliorare la vita di chi soffre

I nostri amici a quattro zampe possono essere “utilizzati” anche a fini terapeutici. L'AIUCA, l'Associazione Italiana Uso Cani di Assistenza, lo fa dal 1990.
Mai sentito parlare di “Pet Therapy”? Comunemente la terapia svolta con l’aiuto dell’animale viene chiamata così, anche se in realtà questo termine inglese significa “terapia praticata all’animale che manifesta problemi di comportamento”. Sarebbe meglio parlare, dunque, di attività o terapie assistite dall’animale.
Bisogna distinguere due settori: uno è quello in cui il cane viene addestrato per aiutare una persona non vedente o priva di udito o con deficit motori, ad esempio sulla sedia a rotelle. Altro settore è quello impostato sulla relazione con l’animale, ed è proprio di questo che vogliamo parlare.
Si chiamano cani sociali, e offrono un supporto affettivo tramite il quale si creano momenti di benessere capaci di migliorare la qualità della vita di chi soffre. Qui l’animale viene “utilizzato” come fonte di stimolo.
Prendiamo il caso di una persona con un problema di fisioterapia, ad esempio che si sia fatta male a una spalla. Per il piacere di relazionarsi con l’animale, quindi giocare, accarezzarlo o dargli da mangiare, questa sarà più motivata a fare un certo movimento. Guidata dalle indicazioni del terapeuta, parteciperà attivamente alla rieducazione della spalla e ne beneficerà.
Altro esempio riguarda un bambino con autismo o con problemi a relazionarsi. Il piccolo accetterà l’animale proprio perché non è critico, perché ha delle capacità differenti dalle nostre nella relazione. E il rapporto con il cane permetterà allo psicologo di entrare meglio nel suo mondo.
L’animale viene selezionato non solo per attitudini e capacità, ma anche per una compatibilità di carattere più omogenea possibile con quella della persona con cui andrà a relazionarsi. Solo così interagirà perché gli fa piacere farlo, e non perché deve farlo. A quel punto nel paziente potranno scattare una serie di motivazioni che derivano dal piacere fisico di toccarlo, osservarlo, accettarne ritmi ed esigenze. E si potrà imparare, ad esempio, che al cane si dà da bere quando ha sete, non per capriccio. Rendendo meno pesante la solitudine, o scoprendo il significato di complicità, intesa e rispetto.


A cura di Viviana Vischi, Giornalista professionista iscritta all'Albo dal 2002, Direttore Responsabile di diverse testate giornalistiche digitali in campo medico-scientifico.
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ATTENZIONE: le informazioni che ti propongo nei miei articoli, seppur visionate dal team di medici e giornalisti di ForumSalute, sono generali e come tali vanno considerate, non possono essere utilizzate a fini diagnostici o terapeutici. Il medico deve rimanere sempre la tua figura di riferimento.



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