Un secolo di Alzheimer: a che punto siamo?

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Un secolo di Alzheimer: a che punto siamo?

15-03-2010 - scritto da Viviana Vischi

Sono passati cento anni dalla prima diagnosi, ma l'Alzheimer dilaga e le strutture latitano. L’allarme della comunità scientifica e delle associazioni

Facciamo il punto sull'Alzheimer

26/09/2006 - Sono passati 100 anni da quando Alois Alzheimer descrisse per la prima volta il caso di Auguste D., signora 51enne di Francoforte con demenza progressiva. A distanza di tanto tempo, in occasione della XIII Giornata mondiale Alzheimer, la comunità scientifica internazionale, insieme alle associazioni di 75 Paesi, si è ritrovata ancora una volta per riflettere sui progressi fatti nella terapia e nell’assistenza, sensibilizzare l’opinione pubblica e chiedere a gran voce ai governi che riconoscano questa malattia come una priorità nazionale.
L’Alzheimer colpisce prevalentemente le persone anziane e rappresenta la più grave e frequente forma di demenza primaria irreversibile (60-70%). Nonostante i passi avanti della ricerca, i numeri sono ancora allarmanti: secondo una ricerca pubblicata alla fine del 2005 dalla rivista scientifica “Lancet”, oggi nel mondo le persone affette sono 24 milioni, di cui 500 mila in Italia, ovvero il 6,5% degli over 65. A causa dell’aumento dell’aspettativa di vita, il loro numero è destinato a raddoppiare nei prossimi vent’anni: un nuovo caso ogni sette secondi. Nel 2040 saranno più di 80 milioni i malati in tutto il mondo. Inoltre è una patologia “al femminile”: colpisce molto più le donne degli uomini (7,5% di incidenza contro il 5,2%) e sono soprattutto le donne a dover gestire il malato durante la sua, spesso lunghissima, malattia.
Qui si apre il secondo dei due capitoli legati all’Alzheimer: le ripercussioni sulla famiglia. Già, perché se l’anziano, nel corso dell’evoluzione della malattia, presenta una disabilità sempre più grave fino al delirio e all’allucinazione, tutto questo è causa primaria di stress per chi gli è vicino, perché nella maggior parte dei casi è la famiglia che deve fornire l’assistenza.
In Italia, per ammissione dello stesso Ministro della Salute Livia Turco, la maggior parte dei malati è assistita da parenti e amici mentre il sistema di supporto del Servizio Sanitario Nazionale e dei presidi socio-assistenziali è spesso carente e impreparato alla gestione di un malattia così complessa.
Il quadro emerso dall’indagine condotta la scorsa estate dall’Aima (Associazione italiana malattia di Alzheimer) sulle Unità di Valutazione Alzheimer (UVA) di Lombardia, Toscana e Sicilia, è sconfortante: distribuzione insufficiente sul territorio, assenza di staff multiprofessionale e quindi risposte solamente sanitarie ai bisogni del paziente, forte diversità dei criteri di ammissione ed esclusione non solo tra nord e sud, ma tra UVA e UVA della stessa regione. A fronte delle grandi attese da parte dei malati, per i quali l’UVA rappresenta l’unica risposta alla loro domanda di salute, soltanto l’8% in Lombardia, il 13% in Toscana e il 15% in Sicilia ha un orario di apertura tra le 35 e le 42 ore settimanali: la maggioranza varia tra le 6 e le 10 ore. L’attesa per una visita è di 44 giorni in Lombardia, 78 in Toscana e 22 in Sicilia. In Lombardia il 37% dei pazienti viene escluso dalle UVA, in Toscana il 46%, in Sicilia il 45%.
Non dimentichiamo infine che l’Alzheimer è una malattia costosa: in Inghilterra, ad esempio, il suo costo è maggiore di quello di malattie cardiache, cancro e ictus messi insieme mentre per la ricerca si spende il 10% di quella per le malattie cardiache e il 3% di quella per il cancro.
Le promesse ai pazienti affetti da Alzheimer e alle loro famiglie, arrivate dal Ministro Turco sono quella di un progetto obiettivo per sperimentare modelli innovativi di servizi e, soprattutto, forti investimenti nelle cure primarie e nell’integrazione socio-sanitaria. Speriamo davvero.
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Malattie, cure, ricerca medica




A cura di Viviana Vischi, Giornalista professionista iscritta all'Albo dal 2002, Direttore Responsabile di diverse testate giornalistiche digitali in campo medico-scientifico.
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