Effetti tardivi delle radiazioni nucleari
Radiazioni nucleari ed effetti a lungo termine o tardivi
La probabilità di eventi dannosi sull'individuo o la frequenza di eventi dannosi sulla popolazione esposta sono direttamente proporzionali alla dose individuale o alla dose media ricevuta pro-capite.
Questa
ipotesi spinge a ridurre ogni dose anche sotto i valori massimi
ammissibili. Per piccole dosi vi è una probabilità minima di effetti
probabilistici sulle persone esposte. Questa ipotesi fa sì che non si
possa pensare ad una dose senza rischio. Anche dosi piccolissime
presentano un rischio non risibile.La reazione alla radiazione di una
parte del corpo non è influenzata, in modo determinante, da
irradiazioni di altre parti del corpo. Pertanto il rischio di effetti tardivi,
connesso con l'irradiazione del corpo intero, è la somma dei rischi
dovuti all'irradiazione dei suoi organi e tessuti costitutivi.
Una dose comporta una determinata probabilità di effetto, sia che
venga somministrata in una sola volta, sia che venga suddivisa in più
volte. Su questa caratteristica ci sono teorie contrastanti e sono
necessarie altre verifiche epidemiologiche e una nuova
sperimentazione.
Per il rischio-probabilità di effetti tardivi è rilevante la dose media
all'organo e non la distribuzione della dose ricevuta zona per zona
negli organi sensibili. La suddetta ipotesi è praticabile per dosi locali
fino ad alcuni Gy.Se l'intero midollo osseo è colpito da una dose
piccola oppure se 1/5 del midollo è colpito da una dose 5 volte
maggiore, la probabilità degli effetti probabilistici (leucemia) non
cambia.
Tra gli effetti tardivi, quello che spicca per gravità e frequenza è il
tumore. Per capire quali origini abbia questa malattia, che è la causa
più comune di morte in Italia e non solo, dobbiamo partire dal
considerare il ciclo cellulare. E’ stato dimostrato che la divisione
cellulare/fase M mitosi non può avvenire per ogni cellula infinite volte.
Dopo 50 fasi M, la cellula va in apoptosi, si contrae il citoplasma, il
nucleo e degenerano i cromosomi. Quindi e'evidente che il ciclo
venga controllato da alcuni fattori di regolazione del ciclo cellulare
che possiamo dividere in interni ed esterni:
L’MPF è una proteina che regola la spiralizzazione dei cromosomi
(importante fase della mitosi). Essa è soggetta ad opera regolatrice
delle informazioni genetiche contenute nel nucleo. Con l’ingegneria
genetica si è riusciti a produrre MPF, in quanto si è riusciti ad
individuare il gene che si occupa della sua sintesi.
Quando delle cellule che stanno effettuando la mitosi si toccano,
l’azione mitotica cessa. Fattori di crescita: sono delle proteine
rilasciate da altre cellule (che possono essere vicine o lontane) che
formano un tutt’uno con dei recettori situati sulla membrana
cellulare delle cellule che si devono dividere: quando questo accade
avviene la duplicazione semiconservativa del DNA (fase S). Se i fattori
di crescita sono prodotte da cellule lontane a quelle bersaglio, essi
viaggiano attraverso il circolo sanguigno.
I fattori di crescita in quanto tali, sono sintetizzate durante la sintesi
proteica grazie alle informazioni provenienti dal DNA e da uno o più
geni strutturali. Questi sono costituiti da una porzione di DNA e,
quindi, da una serie di nucleotidi. Le radiazioni ionizzanti, possono far
incorrere errori nella duplicazione del DNA e, quindi, possono dar
luogo a geni mutati. Questi sono del tutto simili a quelli mutati dai
biologi tramite le tecniche di Ingegneria Genetica ache se le
mutazioni sono casuali: possono colpire qualsiasi gene strutturale e
possono essere neutre, vantaggiose e svantaggiose; potranno
essere: cromosomiche o geniche (di sostituzione di una coppia di
basi azotate con un’altra, di inserzione di una o più coppie di basi, di
delezione cioè di una cancellazione di una o più basi, di
riordinamento dovuto ad una inversione nell’ordine delle basi come
un capovolgimento; potranno essere somatiche se interessano le
cellule somatiche (e quindi solo l’organismo che ne è portatore),
germinali se interessano le cellule sessuali (possono essere
ereditate alla prole
I geni strutturali dei fattori di crescita sono detti protoncogeni (negli
esseri umani sono circa 100 a persona). Essi, per effetto delle
radiazioni, possono incorrere in una o più di una delle mutazioni
sopraelencate (sostituzione, inserzione, delezione e/o riordinamento).
Il risultato di questa mutazione sarà un gene strutturale simile al
protoncogene, ma non uguale. E’ opportuno precisare che non solo le
radiazioni ionizzanti possono far mutare un gene. Gli agenti mutageni
sono diversi e, fra questi ricordiamo alcune sostanze contenute nei
fertilizzanti, nei diserbanti, nei coloranti, e nel fumo di sigaretta.
Qualunque sia la causa della mutazione, il gene che deriva dal
protoncogene può avere delle particolari caratteristiche e, per
queste, essere chiamato oncogene. Queste particolari
caratteristiche fanno sì che la proteina che ne deriva, simile al
fattore di crescita iniziale, presenti dei difetti dagli effetti disastrosi.
Può avvenire che il fattore di crescita mutato, ordini una stimolazione
alla divisione incontrollata delle cellule vicine. Queste cellule, che
tendono a moltiplicarsi in continuazione sono dette cellule tumorali e
si contraddistinguono per particolari caratteristiche:
.hanno una forma globulare (non sono appiattite);
.sono indifferenziate (come le cellule embrionali);
.non muoiono, ovvero per loro non avviene l’apoptosi.
Le cellule cancerose sono degenerazioni di cellule tissutali, diverse
da quelle da cui derivano, che si moltiplicano a formare voluminose
masse tumorali.
Il tumore può essere di due tipi, benigno o maligno:
__Benigno: provoca l’accrescimento illimitato di cellule appartenenti
ad un solo organo;
__Maligno (detto anche cancro soprattutto se alla pelle): le cellule in
riproduzione si disperdono attraverso il torrente circolatorio ed
attaccano altri organi formando metastasi (cellule tumorali
distaccate).
I tumori benigni e le cisti, racchiusi da un rivestimento di tessuto
senza apertura, di solito non provocano conseguenze negative; al
massimo, possono aumetare di volume e quindi esercitare una
pressione sugli organi o sui nervi vicini. I tumori benigni possono,
però, degenerare e diventare maligni, per cui spesso vengono
asportati a scopo precauzionale.
I tumori maligni non sono né contagiosi né ereditari. Si può ereditare
la predisposizione ad ammalarsi di tumore maligno. Un cancro può
prodursi in quasi tutte le parti del corpo, compreso il sangue
(leucemia). Si parla di carcinoma quando il tumore ha origine nella
pelle, nelle membrane mucose e nelle ghiandole, di sarcoma quando
ha origine nei tessuti connettivi, come l’osso o il muscolo.
Il cancro ai polmoni sopravviene quando le cellule del tessuto
epiteliale che riveste le vie aeree iniziano a riprodursi in modo
incontrollato. In questo modo formano una massa tumorale solida,
detta carcinoma, che può invadere i tessuti circostanti. Se le cellule
tumorali riescono a penetrare nei vasi sanguigni e linfatici, possono
essere trasportate in tutto il resto del corpo, dando origine a nuovi
tumori. Queste formazioni (metastasi) costituiscono la caratteristica
più pericolosa e meno controllabile del cancro.
Vi sono vari sintomi che possono indicare la presenza di un tumore
maligno. :
1. nodulo o rigonfiamento, nella donna specie al seno;
2. persistente difficoltà di digestione e perdita di appetito;
3. nella donna, insolita perdita di sangue o di secrezioni dalla vagina
o dal capezzolo;
4. perdita di peso inesplicabile ed improvvisa;
5. persistente raucedine e difficoltà nella deglutizione;
6. sangue nelle feci o persistente stitichezza o diarrea;
7. ferite che non si rimarginano.
La ricerca contro il cancro ha fatto e sta facendo passi da gigante
ma ancora non esistono terapie complete, sempre efficaci e senza
controindicazioni.
I mezzi tradizionali per il trattamento del cancro sono l’intervento
chirurgico, la radioterapia e la chemioterapia:
Il principale approccio alla cura del cancro è l'asportazione di tutte le
cellule maligne tramite intervento chirurgico. Il miglioramento delle
tecniche chirurgiche, l'approfondimento della conoscenza della
fisiologia e i progressi nell'anestesia consentono oggi di eseguire
interventi chirurgici meno estesi, con possibilità di guarigione più
rapida e minore invalidità successiva. Tuttavia, molti tipi di cancro,
nel momento in cui viene effettuata la diagnosi, sono in uno stadio
troppo avanzato per essere asportati chirurgicamente. Se
l'estensione locale interessa tessuti che non possono essere
sacrificati, o se sono presenti metastasi distanti, la chirurgia non può
curare il cancro. Anche quando è evidente che l’intervento chirurgico
non determina la guarigione, esso può comunque alleviare i sintomi e
ridurre le dimensioni del tumore nel tentativo di migliorare la risposta
del paziente alla successiva radioterapia o chemioterapia.
La sensibilità dei tumori alla radioterapia, ossia al "bombardamento"
del tessuto mediante radiazioni, è molto variabile. Un tumore è
definito sensibile quando è più vulnerabile all'effetto delle radiazioni
rispetto ai tessuti normali che lo circondano. Quando un tumore è
facilmente raggiungibile, come ad esempio, un tumore superficiale o
un tumore localizzato in un organo come l'utero, nel quale è possibile
introdurre una fonte di radiazioni, può essere curabile con la
radioterapia. Poiché tende a risparmiare i tessuti normali, la
radioterapia è utile quando un tumore non può essere asportato
perché l'intervento chirurgico danneggerebbe tessuti vitali contigui,
o perché ha iniziato a penetrare in strutture vicine che non possono
essere sacrificate. C’è comunque da precisare che la radioterapia
non è certo esente da effetti collaterali, che determinano una vera e
propria patologia: la malattia da radiazioni. Tra i sintomi che questa
patologia comporta vi sono nausea, diarrea, vomito, perdita
momentanea dei capelli e anemia. La soluzione può consistere nella
riduzione delle radiazioni somministrate o, nel caso di persistenza dei
sintomi, anche la sospensione della cura.
Il complesso dei farmaci che vengono somministrati in varie
combinazioni e dosaggi prende il nome di chemioterapia. Poiché i
farmaci si distribuiscono in tutto l'organismo attraverso la
circolazione sanguigna, la chemioterapia si impiega nei tumori che si
sono diffusi in zone difficilmente accessibili con la chirurgia o la
radioterapia. Si tratta di trattamenti molto aggressivi che devono
distruggere le cellule tumorali lasciando il più possibile intatte quelle
sane. Viene somministrata a cicli, dopo i quali si verificano i risultati
ottenuti in termini di arresto della crescita del tumore o di riduzione
della massa. I cicli ripetuti possono indebolire sempre di più il tumore
prima che sviluppi resistenza. Alcuni tumori, ad esempio il cancro
dell'utero, la leucemia acuta (soprattutto nei bambini), il linfoma di
Hodgkin e il linfoma gigantocellulare, il carcinoma del testicolo e
molti tipi di cancro dei bambini sono così sensibili alla chemioterapia
che in un'alta percentuale di casi possono guarire. Spesso, al
momento della diagnosi, questi tipi di cancro sono già diffusi
nell'organismo e non possono essere trattati con terapie differenti.
Altri tipi di cancro, anche se avanzati, rispondono bene alla
chemioterapia e possono essere tenuti sotto controllo a lungo.
Nonostante però i grandi progressi fatti dalla medicina in questo
campo, gli effetti collaterali della chemioterapia restano pesanti e il
trattamento molto fastidioso. Vi sono tuttavia nuove cure, diverse da
quelle tradizionali ma ancora da perfezionare.(ipertermia
cronochemioterapia ,IORT....)
Molti tipi di cancro derivanti da tessuti la cui fisiologia dipende
dall'azione di ormoni, come prostata, mammelle, endometrio
(rivestimento interno dell'utero) e tiroide, rispondono al trattamento
ormonale, che consiste nella somministrazione di vari ormoni con
azione inibente sulla crescita tumorale. In particolare, sembra che
l'assunzione di ormoni femminili possa costituire una terapia per il
cancro della prostata, e di ormoni maschili o femminili per quello
della mammella.
Si stanno profilando nuovi e promettenti approcci alla terapia del
cancro. La ricerca si sta occupando di antigeni tumorali specifici,
contro i quali è possibile attivare degli anticorpi. Questi anticorpi
antitumorali potrebbero essere usati per trattare il cancro
direttamente che in combinazione con un chemioterapico, in quanto
l'anticorpo potrebbe identificare la cellula maligna e attaccarvisi,
portando così il farmaco direttamente sul bersaglio.
Un altro settore di ricerca in espansione è quello della terapia
genica(farmaci itelligenti), che impiega vari metodi per introdurre
materiale genetico nel tessuto canceroso e per renderlo, così, più
facilmente riconoscibile da parte del sistema immunitario.
Sono in corso studi sullo sviluppo di vaccini, basati sull'asportazione
di cellule dal paziente e sul loro trattamento in laboratorio, in modo
che secernano una proteina in grado di stimolare il sistema
immunitario.
Una teoria che, si spera, possa rivoluzionare presto il panorama delle
terapie antitumorali è quella dell’Anti-Angiogenesi di Folkman.
L’angiogenesi è il processo biologico che porta alla formazione di
nuovi vasi grazie alla proliferazione delle cellule endoteliali. Essa
risulta di fondamentale importanza durante lo sviluppo embrionale e
la crescita di un individuo. Nell’adulto, in condizioni normali il sistema
microvascolare è quiescente e può tuttavia essere attivato per brevi
periodi in risposta a determinate esigenze dell’organismo.
L’angiogenesi più intensa e significativa è quella che riguarda la
neovascolarizzazione tumorale, dal momento che essa è di
fondamentale importanza per la sopravvivenza e per la sua attività
metastatica. Nel 1984 Folkman (lo scienziato al quale si devono gli
studi più significativi nel campo dell’angiogenesi) scriveva: "Una
volta che il tumore si è sviluppato, ogni aumento della popolazione
cellulare tumorale può essere preceduta da un incremento nel
numero di nuovi capillari che si dirigono verso il tumore".
L’angiogenesi è inoltre necessaria sia all’inizio che alla fine dello
sviluppo di una metastasi. Infatti, nel tumore primario durante il
processo di formazione della nuova rete vascolare, le pareti delle
neovenule risultano altamente permeabili, il che facilita il passaggio
in circolo di cellule metastatiche. Una efficace attività angiogenica è,
poi indispensabile a livello del focolaio metastatico la cui crescita si
arresterebbe ad un volume massimo di 2 mm, dal momento che la
massima distanza tra una cellula tumorale ed il letto capillare
neoformato può essere di 150/200 µm, distanza che permette ancora
la diffusione dell’ossigeno. Sebbene un’aumentata produzione di
fattori angiogenici sia necessaria, essa non è tuttavia sufficiente a
far acquisire al tumore un fenotipo angiogenico.Si deve avere una
diminuzione dei fattori che modulano negativamente la sintesi di
nuovi vasi.
Per informazioni Dott.Virginia A.Cirolla
Studio Medico Cirolla
Prof.ssa Virginia A.Cirolla
MD,PhD in Experimental And Clinical Research Methodology in Oncology Department of Medical and Surgical Sciences and Translational Medicine "Sapienza" University of Rome
National President A.I.S.M.O. ONLUS
www.studiomedicocirolla.it
www.aismo.it
Profilo del medico - Prof.ssa Virginia A. Cirolla
