I danni estetici della stasi venosa

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I danni estetici della stasi venosa

15-03-2010 - scritto da Viviana Vischi

Danni provocati dalla stasi venosa al tessuto sottocutaneo a cui seguiranno quelli del derma e dell'epidermide

Stasi venosa e conseguenze estetiche (e non solo) sulle gambe

11/09/2004 - Si è detto che il processo della stasi cammina dal basso verso l'alto. Ecco che ad un certo punto cominciano a manifestarsi danni del tessuto sottocutaneo a cui seguiranno quelli del derma e dell'epidermide.
E' chiaro che l'andamento e le fasi di questo processo saranno profondamente diverse in rapporto alle differenti regioni dell'arto inferiore. E' evidente che nella regione malleolare, dove non c'è quasi tessuto adiposo, il danno sarà prevalentemente dermo-epidermico. La pelle diventa sempre più sottile; se c'era qualche peluria essa cade, cominciano a comparire piccole macchie di colore giallo-brunastro pallido, la pelle diventa tesa, di colore quasi grigiastro. Qualche volta è addirittura lucida. Al tatto, si ha la sensazione come se si toccasse la superficie di un mobile a cui è stata passata la cera. Se si preme forte con la punta di un dito, rimane come una fossetta che dura a volte per più di 5" ed ha un fondo biancastro pallido.
E' il segno della forea. La sera se si portano i calzini corti, come può avvenire d'estate, rimane evidente la traccia dell'elastico come una solcatura ai cui lati la pelle si estroflette verso l'esterno. Andando più su, sempre nella regione anteriore della gamba, si osserva che proprio dove c'è l'osso (tibia, regione tibiale anteriore) la pelle tende più facilmente a desquamarsi sotto forma di piccole lamelle di colorito bianco-grigiastro. Anche qui la pelle tende a diventare sottile e lucida.
Nel polpaccio le cose vanno meglio e queste alterazioni sono molto meno evidenti. In corrispondenza del ginocchio, ci si comincerà ad accorgere che i contorni esterno ed interno "non sono più quelli di prima". Una palpazione attenta potrà, anche se raramente, provocare una sensazione di fastidio, perchè vi è già del tessuto adiposo, che è il primo a subire senza potersi adeguatamente difendere i danni della stasi. Ma il punto più importante, dove si possono appieno comprendere l'entità e la gravità del danno microcircolatorio da stasi, è la regione supero-laterale delle cosce, dove il tessuto adiposo è più abbondante. Possiamo distinguere diverse fasi a seconda che si privilegi l'ispezione o la palpazione.
Semplicemente guardando la zona ci si accorge che la superficie dell'epidermide non è liscia ed omogenea ma come zaffata da piccolissime escrescenze dette appunto zaffi, di colorito bianco-grigiastro, che sembrano come sporgere dall'orifizio dei follicoli piliferi.
L'impressione d'insieme è di contemplare tante piccolissime macchiette, dette miliari per la loro piccolezza e vicinanza. Toccando, o meglio sfiorando delicatamente la superficie, si apprezza subito una certa scabrosità e ruvidezza.
Questa è la pelle a buccia d'arancia. Si noti bene: l'aspetto a buccia d'arancia deve vedersi senza toccare nulla, senza fare la famosa plica, cioè comprimere con le due mani un'area cutanea in modo da estrofletterla. Perciò il quadro è puramente ispettivo.
Sul piano diagnostico dobbiamo dire che lo stadio è già piuttosto avanzato, nel senso che il danno epidermico manifestantesi appunto con la cosiddetta ipercheratosi degli ostii follicolari è stato preceduto da alterazioni del tessuto adiposo e che quindi data da lungo tempo.
Sempre all'ispezione, ma in casi già avanzati, è possibile apprezzare come delle ondulazioni della superficie cutanea, più o meno accentuate a seconda dei punti e più evidenti in stazione eretta.
Negli stadi terminali, possono comparire come dei piccoli crateri con margini di solito irregolari, spesso stellati o frastagliati. Si ha l'impressione di trovarsi di fronte all'impuntura di un materasso, come se qualcosa al centro stirasse verso il basso: questa è la "cute a materasso" ed è già segno di liposclerosi avanzata.
Altre volte si rilevano come delle linee che si incrociano tra di loro delimitando aree di forma irregolarmente trapezoidale e questa è la cosiddetta "cute a poltrona" o "coperta imbottita". Il colore della pelle tende al grigio-giallastro, vi sono pochi peli, si manifesta una particolare flaccidità, sono frequenti le smagliature cutanee.
Alla palpazione di una mano esperta i primi stadi del processo sono caratterizzati da un tipico aumento della pastosità dei tessuti profondi. Con questo termine si vuole indicare la particolare sensazione che si sente con il polpastrello delle dita quando si cerca di penetrare in un impasto d'acqua e farina ben lavorato; vi è una certa resistenza, definita appunto pastosità, che però non va confusa con l'elasticità. Con questo termine si intende il tempo di ritorno di una depressione provocata con la punta di un dito in una determinata area. Se il ritorno è pressocchè immediato, si dice che la cute è elastica, se invece passa qualche secondo si parla di cute ipoelastica e se rimane la forea, addirittura di cute anelastica. Le ragioni di una cute iperpastosa ed ipoelastica non vanno ricercate nell'epidermide, ma nel derma, che è di solito edematoso, e nell'ipoderma, che presenta il cosiddetto "lipoedema", cioè una condizione di collegamento da parte di plasma sanguigno stravasato per fenomeni di stasi dei capillari e dalle venule postcapillari.
Pertanto, diminuzione dell'elasticità ed aumento della pastosità sono caratteristici del primo stadio ancora iniziale e perciò reversibile del processo a carico del tessuto adiposo.
Derma ed epidermide sono ancora integri ed all'ispezione non si vede nulla. In una fase successiva eseguendo con la punta delle dita una palpazione mirata dei piani profondi, è possibile apprezzare una strana sensazione di disomogeneità, paragonabile a quella che si ha toccando della sabbia: è la cosiddetta "sensazione di fine granulia" nei profondi piani ed indica che il processo ha cominciato ad alterare la struttura delle cellule adipose, le quali per così dire si "infeltriscono" per la formazione di un fittissimo reticolo di esili fibrille reticolari che avvolgono ogni singolo adipocita come una matassa.
Questo processo di aumento della quota di fibrille reticolari va interpretato come la difesa iniziale delle cellule adipose ai continui eventi traumatizzanti rappresentati dal va e vieni del liquido edematoso.
L'edema durante la giornata si accumula sempre di più, il liquido si infiltra tra ogni singolo adipocita, li allontana l'uno dall'altro fino a formare dei veri e propri laghi; la sera viene lentamente riassorbito e tutto sembra ritornare come prima, ma i rapporti tra le singole cellule adipose si alterano sempre di più e addirittura qualcuno si rompe e le gocciole di grasso in esse contenute si spandono mescolandosi al liquido edematoso. Tutto questo si può vedere benissimo al microscopio. La comparsa di un numero di fibrille superiore alla norma viene definita "iperplasia" (aumento di numero) ed "ipertrofia" (aumento di volume) del sistema reticolo-endoteliale di difesa degli adipociti. Questo processo si estende sempre di più. Se si palpa profondamente la regione, si provoca una sensazione di fastidio o di dolore ottuso che cessa interrompendo la compressione. Siamo alla fine del secondo ed agli inizi del terzo stadio del processo dove comincia il danno tessutale.
Continuando l'evoluzione, dalle fibrille reticolari si differenziano vere e proprie fibrille collagene.
Questo è il punto chiave, il momento cruciale del processo: si forma connettivo dove prima non c'era, in pieno tessuto adiposo.
E' l'inizio della fibrosi il che vuol dire proliferazione di fibrille, questa volta connettivali, anch'esse espressione di una "abnorme" difesa tessutale. Queste fibrille cominciano con l'avvolgere tante piccole aree dove gli adipociti sono ormai alterati e degenerati; il loro compito è quello di circoscrivere le aree danneggiate, di separarle in qualche modo dal tessuto ancora sano. In altri termini di "incapsularli". Ecco perchè con il polpastrello del dito si apprezza la sensazione di fine granulia dei piani profondi. Essa è data da tanti minutissimi micronoduli che si formano quando il connettivo incapsula 40-80-100 adipociti alterati. Poichè il diametro medio di una adipocita è di circa 1/10 di millimetro, quando un centinaio di adipociti vengono incapsulati è possibile palpare i micronoduli come tanti piccoli granuli di sabbia posti l'uno accanto all'altro.
In uno stadio successivo, e sono passati altri anni, più noduli contigui vengono incapsulati dal connettivo proliferante in un unico nodulo più grosso, è il cosiddetto macronodulo o "nodulo cellulitico". Le sue caratteristiche sono:
- di essere molto dolente con sensazione di dolore acuto, qualora si palpi e si comprima con la pressione digitale mirata;
- di avere una consistenza talora ancora tenera (dicesi "parenchimatosa" da parenchima: la sensazione tattile che si ha toccando un rene, un cuore).

Questa sensazione si ha quando il macronodulo è nelle prime fasi della sua formazione ed i fasci della capsula connettivale sono ancora lassi o parzialmente estensibili. Come ogni connettivo neoformato (vedasi una cicatrice da ferita) anche quello della capsula di micronoduli ha una spiccata tendenza a retrarsi. Le fibre diventano più corte, compatte, in una parola, sclerotiche. Retraendosi, il macronodulo assume una consistenza duro-elastica, è spostabile sui piani sottostanti, ha forma regolarmente rotondeggiante.
La confluenza di più macronoduli da luogo alla caratteristica sensazione palpatoria del sacchetto di custodia di una collana di perle. Qualora i macronoduli siano abbastanza superficiali, le fibrille connettivali neoformate si ancorano a quelle già esistenti negli strati profondi del derma e, retraendosi e coattandosi, le stirano verso il basso dando così luogo ai crateri della cute a materasso o delle linee della cute a poltrona. Spesso sotto le smagliature si palpano noduli.
Questo è l'ultimo stadio del processo, del tutto irreversibile che ora potremo chiamare con il suo vero nome:
PANNICOLOPATIA (cioè malattia del pannicolo adiposo sottocutaneo) EDEMATO (perchè nei primi stadi è caratterizzata dall'edema, prima del tessuto adiposo e poi del derma)
FIBROSCLEROTICA (perchè lo stadio terminale è caratterizzato dalla proliferazione di fibrille collagne che diventano sclerotiche)
da stasi capillaro venulare dapprima e poi francamente venosa.
Più sinteticamente il processo può venire chiamato, per analogia con l'arteriosclerosi, LIPOSCLEROSI.
E' evidente che vi sono anche altri segni e sintomi clinicamente apprezzabili che riflettono le molteplici condizioni in cui vengono a trovarsi sia i vasi sanguigni che i tessuti circostanti in preda al processo lipo-sclero-tico.
Ricorderemo la cute pallida, poco sanguificata e soprattutto la cute ipotermica, cioè la comparsa di aree più "fredde" rispetto alla cute circostante. Ancora, menzioneremo il cosiddetto "segno del pizzicotto" o "pinch test" che consiste nell'afferrare tra il pollice e l'indice una plica cutanea, nel punto dove prima si era palpato almeno un nodulo o la sensazione di fine granulia nei piani profondi, nello stringere forte fino a provocare dolore, poi nel lasciare repentinamente la presa contando quanti secondi passano prima che la sensazione dolorosa provocata dalla pressione sia del tutto scomparsa.
Se passano più di tre secondi si può essere quasi certi di trovarsi di fronte ad una P.E.F. (Pannicolopatia Edemato Fibrosa) da stasi venosa cronica.
Altri sintomi più rari sono le cosiddette "placche". Trattasi di piastroni indurati a margini netti, dolenti alla pressione, senza edema; oppure di piastroni con margini sfumati che non danno la sensazione dello "scalino" ed allora dicansi "piastroni con edema".
La sintomatologia descritta è quindi il primo segnale che qualcosa sta succedendo nel tessuto adiposo della gamba e della coscia. Le sue ripercussioni sul derma e sull'epidermide sono perciò tardive e ne deriva la constatazione che quando vi è un danno estetico come la pelle a buccia d'arancia, le ondulazioni, i crateri o le infossature lineari incrociantesi ed il colorito della cute non è più roseo, ma grigio-giallastro, ci si trova di fronte ad un danno già in fase terminale, difficilmente influenzabile con qualsiasi tipo di trattamento.



A cura di Viviana Vischi, Giornalista professionista iscritta all'Albo dal 2002, Direttore Responsabile di diverse testate giornalistiche digitali in campo medico-scientifico.
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