Boston Retinal Implant Project: una meravigliosa realtà
il Boston Retinal Implant Project e un progetto nato nel corso del 1980 tra le mura del celebre MIT (Massachusetts Institute of Tecnology)
La realizzazione di un dispositivo capace di restituire la vista agli individui che l'abbiano persa a causa della degenerazione delle cellule fotorecettrici della retina.
L'obiettivo del Boston Retinal Implant Project, un progetto nato nel corso del 1980 tra le mura del celebre MIT (Massachusetts Institute of Tecnology) e guidato dal Dottor Joseph Rizzo e dal Dottor John Wyatt, è la realizzazione di un dispositivo capace di restituire la vista agli individui che l'abbiano persa a causa della degenerazione delle cellule fotorecettrici della retina.
Funzionamento della protesi
La protesi realizzata da questo gruppo di ricerca è costituita da una parte interna e da una parte esterna, che interagiscono tra loro.
L'energia necessaria per il funzionamento della protesi stessa è fornita da una batteria esterna. Una telecamera miniaturizzata, montata su uno speciale paio di occhiali, capta l'immagine e la trasferisce, attraverso fili elettrici posti all'interno di una delle bacchette degli occhiali, ad una bobina primaria, montata a sua volta sulla bacchetta. Tale bobina primaria invia i dati, attraverso onde radio, ad una bobina secondaria, integrata nell'impianto oculare. In questo modo il segnale viene trasmesso via wireless e non è quindi necessario l'impiego di fili elettrici che penetrino nel corpo, che risulterebbero essere poco efficaci per la progettazione di una protesi permanente.
La bobina secondaria trasmette il segnale ad un piccolo chip localizzato a livello della retina. Il chip amplifica il segnale e manda impulsi di corrente a singoli elettrodi, che stimolano le cellule gangliari retiniche, in modo da permettere la ricostruzione della scena visiva. L'impianto oculare è flessibile, in modo da potersi adattare alla forma del bulbo oculare, ed è realizzato in parylene. Il segnale è trasmesso dalla bobina secondaria al chip e poi dal chip all'electrode array attraverso tracce in oro. L'electrode array consiste in elettrodi del diametro di 400 µm, realizzati in ossido di iridio, materiale biocompatibile che permette di stimolare i tessuti con precisione senza danneggiarli. Gli elettrodi possono essere stimolati indipendentemente e in modo variabile a seconda delle radiofrequenze trasmesse dalla bobina primaria.
Studi su efficacia, resistenza e biocompatibilità della protesi
Il primo impianto realizzato è stato utilizzato come prototipo di studio per l'analisi e la risoluzione di diverse problematiche. Innanzitutto sono stati effettuati esperimenti in vitro di stimolazione del tessuto retinico e di registrazione dal tessuto stesso, per studiare le relazioni tra la stimolazione elettrica e la risposta delle cellule gangliari; in seguito la protesi è stata impiantata in animali da esperimento ed è stato possibile verificare che la stimolazione della retina induce una attività elettrica registrabile a livello della corteccia visiva.
L'impianto negli animali è stato fondamentale anche per la valutazione della biocompatibilità e della resistenza a lungo termine della protesi.
Gli studi di biocompatibilità permisero agli sperimentatori di realizzare un rivestimento della protesi in polietilenglicole (PEG), materiale che sembra possedere le migliori caratteristiche di biocompatibilità. Il procedimento di realizzazione del mantello prevede dapprima la formazione di copolimeri di PEG, successivamente legati ad una catena poliamminoacidica (come pLys, pGlu, pAsp); la catena poliamminoacidica viene quindi tiolata per permettere la formazione di un legame stabile S-Au tra il polimero biocompatibile e il substrato in oro del circuito.
Gli studi di resistenza a lungo termine permisero di rilevare una problematica relativa all'incapsulamento dell'impianto. È infatti necessario che tutti i componenti elettronici dell'impianto siano incapsulati ermeticamente, perché non arrechino danni all'occhio e contemporaneamente non subiscano danni di corrosione dovuti al contatto con le sostanze organiche. Gli sperimentatori hanno osservato che il parylene-C tende a corrodersi nel giro di 2-3 mesi e hanno quindi realizzato una copertura in ceramica per risolvere il problema.
Procedura d'impianto della protesi
Nei primi esperimenti l'intero impianto era intraoculare e l'electrode array era posto epiretinalmente; tuttavia i risultati degli studi spinsero poi gli sperimentatori ad adottare un nuovo approccio, posizionando l'electrode array in posizione subretinale. Questa nuova strategia operativa fornisce numerosi vantaggi:
1) poiché solo una minima parte dell'impianto penetra nell'occhio, c'è un minore rischio di infezioni o traumi oculari;
2) non c'è necessità di ancorare artificialmente l'electrode array alla retina, perché esso è interposto tra la retina e l'epitelio pigmentato, dai quali viene mantenuto nella posizione corretta;
3) tutti gli hardware elettronici sono posti all'esterno dell'occhio, quindi si limitano i rischi relativi ad un eccessivo riscaldamento della retina;
4) risulta più facile incapsulare ermeticamente gli elementi elettronici dell'impianto, grazie al maggiore spazio disponibile a livello dell'orbita oculare;
5) la soglia di stimolazione si abbassa, perché l'electrode array è in una posizione maggiormente efficace per la stimolazione stessa.
La strategia di impianto dell'electrode array a livello subretinale è quella attualmente in uso, tuttavia la protesi del Boston Retinal Implant Project è tuttora classificata tra le protesi epiretinali, perché il suo principio di funzionamento generale è assimilabile a quello delle protesi epiretinali.
Poiché il 9 Novembre del 2000 il Boston Retinal Implant Project ha ricevuto l'autorizzazione da parte della FDA a cominciare la prima fase di sperimentazione della protesi sull'uomo, gli sperimentatori hanno inoltre sviluppato una nuova procedura chirurgica d'impianto poco invasiva, detta tecnica d'impianto "ab externo". Tale tecnica prevede che il medico realizzi, mediante un apposito strumento, una piccola tasca che viene poi riempita di fluido, in modo tale da separare la retina dall'epitelio pigmentato e da creare lo spazio idoneo per l'inserzione dell'impianto, fatto scorrere lungo la superficie esterna dell'occhio.
Primi risultati della fase di sperimentazione clinica
Il 9 Novembre del 2000 il Boston Retinal Implant Project ha ricevuto l'autorizzazione da parte della FDA a cominciare la prima fase di sperimentazione della protesi sull'uomo.
Fino ad ora la protesi è stata impiantata su sei volontari.
La procedura chirurgica è stata eseguita mentre i soggetti erano localmente anestetizzati, ma svegli; in questo modo essi potevano comunicare direttamente durante l'operazione eventuali cambiamenti della propria percezione visiva. Gli esperimenti condotti sono sempre stati relativamente brevi (sono durati al massimo per qualche ora), ma hanno dato risultati promettenti. La maggior parte dei pazienti, definiti legalmente non vedenti da decine di anni, hanno riportato sensazioni visive e alcuni di essi sono stati persino in grado di riconoscere una linea in risposta al relativo pattern di stimolazione.
Stato attuale del progetto
Le risposte positive sino ad ora ottenute incoraggiano i ricercatori a credere che ci sia la concreta possibilità di ottenere, in futuro, un soddisfacente ripristino della visione, attraverso l'impiego di questo tipo di protesi. Per raggiungere questo risultato il gruppo è impegnato su più fronti: si stanno ricercando parametri di stimolazione idonei ad eccitare le cellule retiniche in modo da evocare un'immagine chiara e definita, senza però arrecare danno alla retina; si stanno sviluppando nuovi materiali con un maggiore grado di biocompatibilità e idonei a preservare dall'usura i delicati elementi circuitali che compongono la protesi; si stanno esaminando le alterazioni funzionali a carico delle cortecce visive che si verificano in risposta alla cecità.
fonte: Wikipedia