Appuntamento con l’irreparabile
La perdita di una persona cara rappresenta uno dei tanti momenti dolorosi della nostra vita. Anche se per alcuni di noi può costituire l’unico episodio doloroso veramente importante, è universalmente noto che questa esperienza, spesso inattesa ed imprevista, è destinata a succedere a tutti coloro che vivono in questo mondo, cui nessuno di noi mortali può sottrarsi. Si può anche vivere, in salute, a lungo, evitando la malattia, tuttavia non si può evitare la morte.
A differenza di altre esperienze di umana sofferenza, questa, in particolare, costituisce un appuntamento sicuro, improrogabile ed ineludibile, tanto che i nostri antenati lo riportavano anche sulle lapidi, a memoria di questa imperscrutabile legge di vita hodie mihi cras tibi (oggi a me domani a te), come per sfatare il luogo comune del “perché proprio a me”. Tale motto latino ci ricorda la fondamentale legge della vita umana nei suoi due aspetti più drammatici: l’inevitabilità della morte ed il patimento, anche una sola volta nella propria vita, della sofferenza per una vita spezzata. La reazione emotiva più evidente che consegue alla perdita di una persona cara è la depressione dell’umore, caratterizzata solitamente da sentimenti di tristezza, diminuzione di interesse e piacere nel fare le cose, insonnia, scarso appetito, perdita di peso ed è naturale che sia così. Spesso a questa reazione fisiologica si associa un eccessivo senso di colpa e di autorimprovero che rischia di compromettere, per la sua intensità, durata e frequenza, la vita lavorativa e sociale di una persona. A volte tali sentimenti possono spingersi fino al punto in cui la persona ritiene di essere il responsabile della morte del proprio caro e di meritare una punizione.
Secondo il modello cognitivo della terapia razionale emotiva, il senso di colpa si spiega con l’iperresponsabilizzazione e l’aumentare della propria responsabilità fa aumentare il dispiacere. Il senso di colpa eccessivo, conseguente la perdita, poggia sull’assunzione di una regola rigida autoimposta del tipo “dovevo interessarmi di più” o comunque “fare di più mentre era in vita” e sulla trasgressione della regola da cui ne consegue l’autocondanna. In altri casi si associa all’idea, comunque irrealistica, che “doveva toccare a me” invece “io sono in vita e l’altro sta peggio”. Ora, se si pensa di avere fatto dei torti a qualcuno di solito si tenta di riparare, se poi non si riesce, allora possiamo imparare dai nostri errori ed eventualmente non commetterli in futuro, dal momento che chi è in vita ha un futuro. Il senso di colpa non offre nulla alla persona che lo nutre e non serve a riparare i danni.
Tuttavia quando perdiamo una persona a noi cara riesce difficile accettare la fine di una vita e vivere senza tale presenza importante. Ma se non si accetta l’inevitabile, oltre ai problemi connessi alla perdita subita, si rischia di essere coinvolti da un problema emozionale che può sfociare in una forma severa di depressione o in altra malattia mentale, ancora più invalidante. “Non doveva succedere, non doveva morire”, sono solitamente questi i pensieri della non accettazione della morte come evento naturale. Come posso dimostrare che “non doveva succedere”? Non posso dimostrarlo in quanto succede, prima o poi, a tutti e se penso ancora che non doveva succedere sono fuori dalla realtà ed il mio pensiero è irrealistico. Dove sta scritto che “non doveva morire” così come in realtà è stato? Solo nella testa malata di una persona che non accetta la realtà che prima o poi le persone con le quali intratteniamo rapporti moriranno. Ciò che è successo è terribile? Terribile è solo una cosa che non deve succedere, ma dal momento che in questo mondo tutto può succedere, nulla può essere pensata come terribile, anche perché può sempre, fintanto che si è vivi, come chi legge questo articolo, succedere qualcosa di peggio: potrebbe esserci pure una morte peggiore, una modalità di morire tra infinito strazio, violenze e sevizie indescrivibili, perpetrate da assassini senza scrupoli. Ma ciò fortunatamente non è successo, anche se sarebbe potuto succedere. Per quale motivo, poi, “non doveva accadere” anche questo? Il lettore è forse in grado di dimostrarlo?
Paolo Zucconi, psicoterapeuta a Udine
liberamente tratto da: Paolo Zucconi, Il Manuale pratico del benessere, Edizioni Ipertesto, pag. 446
A differenza di altre esperienze di umana sofferenza, questa, in particolare, costituisce un appuntamento sicuro, improrogabile ed ineludibile, tanto che i nostri antenati lo riportavano anche sulle lapidi, a memoria di questa imperscrutabile legge di vita hodie mihi cras tibi (oggi a me domani a te), come per sfatare il luogo comune del “perché proprio a me”. Tale motto latino ci ricorda la fondamentale legge della vita umana nei suoi due aspetti più drammatici: l’inevitabilità della morte ed il patimento, anche una sola volta nella propria vita, della sofferenza per una vita spezzata. La reazione emotiva più evidente che consegue alla perdita di una persona cara è la depressione dell’umore, caratterizzata solitamente da sentimenti di tristezza, diminuzione di interesse e piacere nel fare le cose, insonnia, scarso appetito, perdita di peso ed è naturale che sia così. Spesso a questa reazione fisiologica si associa un eccessivo senso di colpa e di autorimprovero che rischia di compromettere, per la sua intensità, durata e frequenza, la vita lavorativa e sociale di una persona. A volte tali sentimenti possono spingersi fino al punto in cui la persona ritiene di essere il responsabile della morte del proprio caro e di meritare una punizione.
Secondo il modello cognitivo della terapia razionale emotiva, il senso di colpa si spiega con l’iperresponsabilizzazione e l’aumentare della propria responsabilità fa aumentare il dispiacere. Il senso di colpa eccessivo, conseguente la perdita, poggia sull’assunzione di una regola rigida autoimposta del tipo “dovevo interessarmi di più” o comunque “fare di più mentre era in vita” e sulla trasgressione della regola da cui ne consegue l’autocondanna. In altri casi si associa all’idea, comunque irrealistica, che “doveva toccare a me” invece “io sono in vita e l’altro sta peggio”. Ora, se si pensa di avere fatto dei torti a qualcuno di solito si tenta di riparare, se poi non si riesce, allora possiamo imparare dai nostri errori ed eventualmente non commetterli in futuro, dal momento che chi è in vita ha un futuro. Il senso di colpa non offre nulla alla persona che lo nutre e non serve a riparare i danni.
Tuttavia quando perdiamo una persona a noi cara riesce difficile accettare la fine di una vita e vivere senza tale presenza importante. Ma se non si accetta l’inevitabile, oltre ai problemi connessi alla perdita subita, si rischia di essere coinvolti da un problema emozionale che può sfociare in una forma severa di depressione o in altra malattia mentale, ancora più invalidante. “Non doveva succedere, non doveva morire”, sono solitamente questi i pensieri della non accettazione della morte come evento naturale. Come posso dimostrare che “non doveva succedere”? Non posso dimostrarlo in quanto succede, prima o poi, a tutti e se penso ancora che non doveva succedere sono fuori dalla realtà ed il mio pensiero è irrealistico. Dove sta scritto che “non doveva morire” così come in realtà è stato? Solo nella testa malata di una persona che non accetta la realtà che prima o poi le persone con le quali intratteniamo rapporti moriranno. Ciò che è successo è terribile? Terribile è solo una cosa che non deve succedere, ma dal momento che in questo mondo tutto può succedere, nulla può essere pensata come terribile, anche perché può sempre, fintanto che si è vivi, come chi legge questo articolo, succedere qualcosa di peggio: potrebbe esserci pure una morte peggiore, una modalità di morire tra infinito strazio, violenze e sevizie indescrivibili, perpetrate da assassini senza scrupoli. Ma ciò fortunatamente non è successo, anche se sarebbe potuto succedere. Per quale motivo, poi, “non doveva accadere” anche questo? Il lettore è forse in grado di dimostrarlo?
Paolo Zucconi, psicoterapeuta a Udine
liberamente tratto da: Paolo Zucconi, Il Manuale pratico del benessere, Edizioni Ipertesto, pag. 446
Dr Paolo G. Zucconi
Specialista in Psicoterapia cognitiva e comportamentale
Certificato Europeo di Psicoterapia (E.C.P.)
con Master universitari in
Sessuologia clinica, Fitoterapia e Nutrizione
diplomato in:
Naturopatia olistica e Ipnosi clinica
STUDIO DI NEUROPSICOLOGIA CLINICA, SESSUOLOGIA E PSICOTERAPIA
UDINE-V.LE VENEZIA 291-TEL. 0432/233006