“Chi meno ama è il più forte, si sa”: la dipendenza affettiva (love addiction)
"amare troppo" è un vero e proprio disagio a proposito del quale non sono ancora stati elaborati degli attendibili criteri diagnostici.
Chi ama troppo è ossessionato dall'altro e chiama questa ossessione amore.
L’amore che può essere definito una “droga” è uno stato affettivo che in una coppia normale è destinato a portare alla distruzione della relazione. Ma esso si instaura in “coppie disfunzionali”, ossia in contesti relazionali-affettivi in cui in genere uno dei partner mostra segni di dipendenza verso l’altro e in cui si radica una tendenza ad alimentare questa forma di equilibrio paradossale della coppia fondato sul malessere. Il copione è sempre lo stesso: si sente di contare qualcosa solo se si è all'interno di un rapporto di coppia. Si è portati a giustificare i tradimenti del partner, la sua indifferenza o aggressività, addossandosi la colpa dei suoi comportamenti e non ritenendosi sufficientemente amabili.Ci si annulla dedicandosi all'altro e cercando di cambiare la persona amata (senza riuscirci) perché diventi somigliante a ciò che si vorrebbe che fosse. Ci si nasconde dietro una falsa immagine e si fa di tutto per conservarla. Quando si è innamorati, invece, ci si toglie di dosso qualsiasi maschera. Si vive un piacere intenso al solo sguardo dell'altro e un dolore profondo e destabilizzante se l'altro non c'è o si teme che non ricambi l'amore.
L'innamoramento però è solo una fase del rapporto, un periodo che lascerà il posto ad ulteriori evoluzioni della relazione: possiamo dire in sostanza che, mentre innamoramento e amore vero sono fenomeni in continuo movimento, che costantemente evolvono e mutano, la dipendenza affettiva è uno stato di immobilità, una condizione che non fa crescere il rapporto.
A partire dalla prospettiva di Giddens a questo problema, possono essere distinte tre principali caratteristiche della “love addiction” , che la connotano come una forma di “dipendenza”.
• La prima di esse è il piacere connesso alla droga d’amore , definito anche ebbrezza , ovvero la sensazione di euforia sperimentata in funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.
• La seconda caratteristica, la tolleranza , definita anche dose , consiste nel bisogno di aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner, riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e dell’altro e i contatti con l’esterno della coppia: L’assenza della persona da cui si dipende porta pertanto ad uno stato di prostrazione e di disperazione che può essere interrotto solo dalla sua presenza tangibile.
• Infine, l’incapacità a controllare il proprio comportamento , connessa ad una riduzione di lucidità che crea vergogna e rimorso e che in taluni momenti viene sostituita da una temporanea lucidità, cui segue un senso di prostrante sconfitta e una ricaduta, spesso più profonda che mai, nella dipendenza che fa sentire più imminenti di prima i propri bisogni legati all’altro
Ma quali sono le caratteristiche dell’amore dipendente? Quando la propria serenità, la fiducia nel proprio valore, hanno origine unicamente dal giudizio e dallo stato d'animo dell'altro, quando si vivono gelosie ingiustificate (con comportamenti come il controllare il telefonino o l'agenda del partner, seguirlo, etc) e si pensa ossessivamente al partner dimenticandosi di sé, dei propri interessi forse si sta già amando troppo. Il dipendente affettivo è ossessivo e tende a lasciare sempre minori spazi personali poichè non riesce a rimanere solo: sentimenti angoscianti come un senso di vuoto e di smarrimento potrebbero travolgerlo nei momenti di separazione. Il rapporto è quindi parassitario, basato su continue richieste di assoluta devozione e di rinuncia da parte dell’amato, oltre ad essere caratterizzato dalla stagnazione, ossia da una tendenza a ripiegarsi su se stessi e a chiudersi alle esperienze esterne per paura del cambiamento, soffocando qualsiasi desiderio o interesse personale in nome di un amore che occupa il primo posto nella propria vita.
L'ansia predomina lo scenario della dipendenza.
La dipendenza affettiva, così come la maggior parte dei disagi psichici, trova infatti le sue origini nei propri vissuti infantili. Esperienze di abbandono, violenze fisiche e psichiche lasciano un segno doloroso e possono predisporre la persona a "tormentarsi d'amore" nella vita adulta. Per lo più si tratta di bambine (questo tipo di dipendenza ha connotazioni tipicamente femminili) costrette a diventare adulte prima del tempo, obbligate per forza di cose, ad occuparsi del genitore o dei fratelli. Bimbe buone e brave, angioletti che hanno imparato presto a cucinare, a fare le pulizie, andare bene a scuola. Quando si diventa "grandi" si sente l'esigenza di continuare a salvare le persone care ripetendo un copione familiare.
Inoltre non è da sottovalutare l'influenza di fattori storici e sociali che hanno imposto alla donna la devozione amorosa come massima virtù. La devozione amorosa non riguarda solamente il partner ma anche il proprio genitore, i propri figli. Per la donna queste sono persone da amare in modo assoluto, cioè in virtù di un vero e proprio annullamento di sé.
Senza questo "dedicarsi" al bene altrui e senza questo rendersi "amabile", una donna semplicemente non si sente donna: se un uomo la rifiuta non solo si sente brutta o non desiderabile, ma non si sente affatto donna. . Donne abituate a considerarsi fragili, dipendenti, bisognose di protezione e di un punto di riferimento. Le donne che amano troppo hanno la vocazione a sopportare qualsiasi mancanza di rispetto da parte dell'innamorato purchè le rassicuri e, per evitare che lui fugga, si adatteranno a fare da infermiera, da mamma, confidente etc.
Donne indebolite da una scarsa fiducia in loro stesse, con alla base una predominante sensazione di non poter vivere senza l'uomo che amano e che sentono di contare qualcosa solo nel ruolo di sofferenti salvatrici. Nonostante il fenomeno dell'"amare troppo" sia tipicamente femminile, anche gli uomini possono soffrire la dipendenza affettiva, vivendo angosce che hanno origine nell'infanzia e nutrendo una scarsa considerazione di sé (proprio come le donne che amano troppo). L'uomo, più della donna, tende ad alleviare queste sofferenze investendo gran parte delle energie nel lavoro, impegnandosi in hobby e sport, cercando, in definitiva, delle risposte "al di fuori di sé" più che "dentro di sé".Le persone che amano troppo associano se stessi all'identità della persona amata. Si sviluppa una grande paura per ogni cambiamento, si tende infatti a soffocare lo sviluppo delle capacità individuali e ogni interesse che vada al di là del partner.
Ci si disabitua a pensare a sé, alla proprie passioni, ad una creatività che non si sa nemmeno di possedere. Si diviene ossessionati da aspettative irrealistiche e ci si convince che, operando a favore del compagno, si metterà al sicuro il rapporto. Si corre così il rischio di cercare un partner solo per riempire grandi vuoti interiori: non è possibile costruire una relazione con l'altro se prima non si stabilisce una relazione con se stessi. Quando si ama troppo non si sta amando veramente, le conseguenze della paura e della dipendenza, tipiche della persona tormentata d'amore, sono incompatibili con l'amore autentico.
Spesso accanto ad una donna "salvatrice" c'è un uomo che non si prende le responsabilità, accanto ad una donna che è stata abbandonata da piccola, può esserci un uomo che la trascura e la tratta male. E, altrettanto spesso, il compagno della donna "affettivamente dipendente" soffre a sua volta di qualche tipo di dipendenza o disagio. Guardandola in questo modo si può dire che anche l'uomo della "donna tormentata d'amore" soffre, non è in grado di vivere un amore maturo e ripete egli stesso un copione che non gli permetterà di realizzare appieno se stesso all'interno di una coppia. Generalmente sono uomini incapaci di esprimere affetto. Chi ama troppo ha la pretesa di manipolare il partner, tentando di cambiarlo, sente il bisogno di intervenire modificando la realtà e ha grandi difficoltà ad accettare l'altro per quello che è. Tenendo sotto controllo l'altro, si pensa erroneamente di controllare anche i propri sentimenti.
Prendere coscienza di questo proprio atteggiamento vuol dire già fare un grosso passo avanti. Se la dipendenza affettiva spinge a controllare l'altro, la prima cosa da fare è sicuramente stare fermi, non agire più quel controllo, ma cominciare ad accettare la realtà e soprattutto se stessi. Guardare la realtà e il proprio uomo per come sono, aiuta sicuramente a prendere delle decisioni sane e costruttive. Ma non è facile. Forse l'atteggiamento più costruttivo è quello di condividere i propri vissuti e confidarsi reciprocamente le esperienze che, in qualche modo, hanno sempre delle affinità.
Ognuno di noi può aver attraversato un periodo di "dipendenza affettiva": la possibilità di uscirne e di creare in seguito rapporti più autentici risiede nella capacità di ognuno di prendere coscienza del problema e di evitare di incastrarsi in un circolo vizioso che potrebbe impedire ogni tipo di cambiamento dentro di sé. Il momento significativo che porta le persone che amano troppo a chiedere aiuto, è rappresentato dalla percezione del vuoto, dalla perdita di identità, dalla rabbia e dalla frustrazione di non vedere ricambiata la dedizione e il loro amore. Si sentono sole e capiscono che qualcosa non va, trovando, a volte, la spinta necessaria ad uscire dal circolo vizioso della dipendenza affettiva: in questo processo di acquisizione di consapevolezza può essere rilevante l’aiuto di un professionista.
Dottoressa Anna Chiara Venturini
Psicologa Psicoterapeuta
Iscriz. albo regione Marche n.1620
Riceve a Roma in Zona Termini
http://www.psicotime.it