La gestione di un lutto inatteso
Gestire il lutto e fronteggiare la perdita di una persona cara: i consigli dello psicologo
Si ritiene infatti che ogni individuo abbia, in parte ereditata ed in parte acquisita, una sua soglia di vulnerabilità agli stressors; quando questi la oltrepassano e la persona non li affronta con un comportamento socialmente abile allora possono scatenare l’insorgenza di una malattia mentale. L’importante è, se si conosce il proprio passato ed eventuali caratteristiche di vulnerabilità, rivolgersi per tempo allo psicoterapeuta, senza necessariamente attendere i tempi di risoluzione spontanea presentati dalla letteratura scientifica.
In altri casi, anche in assenza di una chiara vulnerabilità, la persona può sentire il bisogno di ricorrere ad uno psicoterapeuta per ridurre al limite dell’adeguato il dolore eccessivo, anche pochi giorni dopo il lutto.
Chi poi non volesse attendere di essere coinvolto nell’evento luttuoso per decidere se e quando ricorrere allo specialista, può prepararsi, al peggio con un programma individualizzato di psicoprofilassi volto a predisporre nella persona quelle abilità sociali necessarie a fronteggiare stressors estremi, come la morte, e al tempo stesso desensibilizzarla preventivamente vaccinandola neuropsicologicamente (murder’s stress inoculation training) per resistere meglio ad una futura perdita.
Infine, quale è la posizione di un malato che sta per morire circa l’accettazione della morte?
Per il morente il problema dell’accettazione della morte si collega al problema più generale dell’informazione precedentemente datagli dai medici sul suo reale stato di malattia. Non si tratta certo di dire, improvvisamente, al paziente, dopo mesi di silenzio, la cruda verità circa la gravità del suo stato, né di lasciare il malato solo con la sua verità, se pur riferita alla fine del processo diagnostico. Si tratta invece di dare al malato, fin dall’inizio della sua malattia, per qualsiasi malattia, la possibilità di accedere a tutte le informazioni che lo riguardano.
Si tratta soprattutto di saper aiutare il paziente a superare l’ansia e la disperazione connesse all’informazione diagnostica. Non è infatti possibile vincere la disperazione ed elaborare meccanismi di difesa adeguati se si è nell’ignoranza del proprio stato e quadro clinico. Questo è particolarmente vero di fronte alla malattia inguaribile; il malato grave non può essere aiutato ad avere una buona morte – cioè una morte umana e dignitosa – se non può parlare con qualcuno.
Il rifiuto ad affrontare la verità di una diagnosi infausta non è mai motivato dal desiderio del benessere del malato, ma unicamente da un egoistico desiderio protettivo di sé, da parte dei familiari o degli operatori sanitari, incapaci o timorosi di affrontare emotivamente il rapporto con la persona malata. A questo si deve aggiungere che il paziente, salvo casi rari che vanno valutati, si rende prima o poi conto della gravità delle sue condizioni. Infatti in certe condizioni la sua attenzione e la sua sensibilità si acuiscono. Se la verità gli è stata taciuta, egli può sentirsi tradito e completamente solo. Inoltre egli si renderà comunque conto delle sue condizioni quando, in genere, è già molto debilitato, anche sul piano fisico, ed avrà perciò maggiori difficoltà nel difendersi in modo costruttivo.
Paolo Zucconi, sessuologo e psicoterapeuta comportamentale a Udine.
liberamente tratto da: Paolo Zucconi, Il Manuale pratico del benessere, Edizioni Ipertesto