Lingue straniere e Disturbi dell’apprendimento. L’inglese a portata di tutti
“A cosa serve studiare l’inglese?”. Molti tra genitori e insegnanti si saranno sentiti rivolgere questa domanda da figli e alunni in crisi di fronte agli esercizi da svolgere. Alcuni bambini sono affascinati dall’idea di sapersi esprimere in una lingua diversa dalla propria e scovano strategie interessanti per acquisire nuovi vocaboli e modi di dire. Altri alunni provano un’avversione profonda per lo studio dell’inglese, per quelle parole che proprio non hanno senso e per quella pronuncia che, spesso, espone a brutte figure davanti ai compagni di scuola.
Gli insegnanti di lingue straniere da sempre si confrontano con una naturale difficoltà che gli allievi sperimentano di fronte alla loro materia di studio, soprattutto per l’apprendimento di quelle lingue che hanno un’ortografia opaca, in cui vi è più di una corrispondenza tra grafema e fonema. Se in italiano, infatti, la lettera “A” corrisponde a un solo suono, in inglese, il medesimo segno grafico abbraccia pronunce diverse. Le ricerche che hanno indagato il rapporto tra disturbi di apprendimento e lingua straniera si sono soffermati su due aspetti principali: da un lato ci si è chiesti se si possa parlare di una vera e propria Difficoltà di Apprendimento della Lingua Straniera, DALS (per un approfondimento cfr.: Palladino - Cornoldi, 2007), ovvero di una lacuna nell’apprendimento della lingua; dall’altro si è indagato come sia per un allievo con dislessia studiare una lingua più complessa e lontana dalla propria (per un approfondimento cfr.: Daloiso, 2012).
Generalmente di fronte a un disturbo di apprendimento la lingua straniera passa in secondo piano, poiché la fatica a scuola è già tanta. Cosa accadrà, però, quando ci sarà l’ingresso nel mondo del lavoro? I colloqui di assunzione ancora non prevedono misure dispensative e compensative per i candidati: non saper utilizzare la lingua inglese rischia di essere un motivo di esclusione dall’impiego desiderato! Quindi se anche le Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento (2011) prevedono la possibilità di esonero dalla lingua scritta in sede di valutazione e nonostante al loro interno si solleciti a scegliere una lingua a ortografia trasparente, resta da capire cosa comportino tali scelte nella vita dei bambini di oggi e degli adulti di domani. Un esempio? Il 90% del linguaggio utilizzato nel web è inglese. Scegliere lo spagnolo a scuola consentirebbe quindi, sì di avere dimestichezza con una lingua straniera e di avere un arricchimento dato dall’accostarsi a una cultura diversa, ma verrebbe meno la possibilità per molti ragazzi di conoscere davvero le cose che li circondano.
C’è da tenere in considerazione che l’Unione Europea ha promosso campagne di sensibilizzazione, progetti, azioni di sostegno per la diffusione della conoscenza delle lingue tra i cittadini dei Paesi membri. Il culmine di questa serie di iniziative è stata la stesura, nel 2001 del Common European Framework of Reference for Languages: Learning, Teaching, Assessment (CEFR), documento in cui vengono delineati livelli di competenza a cui ogni persona può fare riferimento per collocare la propria preparazione rispetto alla lingua parlata, ascoltata, letta e scritta. Gli istituti che da sempre si occupano di insegnamento della lingua straniera si sono adeguati a questi standard e, oggi, iniziano a tenere in conto anche quello che succede nel caso in cui un bambino o un ragazzo con DSA voglia sostenere un esame presso le loro strutture. Nel sito del British Council, per esempio, si trovano indicazioni per gli special needs: ai ragazzi con Disturbo di apprendimento è concesso del tempo in più – solitamente il 25% del totale – per lo svolgimento delle prove. Eppure le strategie di potenziamento da attuare rispetto all’apprendimento della lingua straniera sono ancora lontane dall’essere trovate. Almeno in Italia. Molti dei metodi proposti sono focalizzati sull’apprendimento della corretta pronuncia dei fonemi (Kvilekval, 2007), pratica generalmente diffusa nei paesi anglosassoni, ma poco attuata nel nostro Paese. Un approccio che si sta focalizzando sulle difficoltà insite nell’apprendimento della lingua inglese è quello metacognitivo (cfr.: Ferrari - Palladino, 2011), che si concentra sulla possibilità di riflettere sulle caratteristiche della lingua che si sta studiando e sulle somiglianze e differenze con quella madre a livello fonologico, morfologico, sintattico e semantico.
Resta una domanda. Studiare l’inglese quando si ha a che fare con un disturbo di apprendimento è possibile? L’esperienza di Clara, bambina di 9 anni pervenuta presso il nostro centro, ci porta a rispondere positivamente. Gli ottimi risultati ottenuti nella classe di inglese che frequenta come attività extra-scolastica non avrebbero mai fatto presagire la presenza di una dislessia. La valutazione, richiesta in seguito a un affaticamento nella lettura che genitori e insegnante avevano notato, ha fatto emergere una dislessia importante, anche se ben compensata. L’approccio utilizzato affonda le radici in alcune delle strategie più utilizzate in glottodidattica (per approfondimenti cfr. Cangià 2011a; 2011b), ovvero attività basate sulla manualità e sulla multimedialità abbinate al teatro, che si mostra uno dei pochi contesti in cui è possibile favorire una full immersion nella lingua inglese. Che Clara sia la regola piuttosto che l’eccezione, però, rimane ancora tutto da dimostrare ed è quello che ci stiamo proponendo di fare, per rendere l’impatto con la lingua inglese sempre più piacevole e meno problematico per i bambini.
Soprattutto a scuola, dove l’insegnamento della lingua straniera verte ancora più sulla grammatica, che non verso l’uso della lingua. Parliamo per comunicare con gli altri, non per sapere se il verbo viene prima o dopo il soggetto. Per questo crediamo che promuovere gli aspetti della comunicazione in classe, magari attraverso l’uso delle nuove tecnologie e del teatro, potrebbe essere una strategia efficace. Per tutti.
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Cangià C., Lingue altre 1. Conoscerle e coltivarle, Editrice La Scuola, Brescia, 2011a.
Cangià C., Lingue altre 2. Insegnarle e impararle, Editrice La Scuola, Brescia, 2011b.
Daloiso M., Lingue straniere e dislessia evolutiva. Teoria e metodologia per una glottodidattica accessibile, UTET, Torino, 2012.
Ferrari M. - P. Palladino, English time, Giunti Scuola, Firenze, 2011.
Kvilekval P., Insegnare l’inglese ai bambini dislessici. Un metodo sicuro per tutti, Libriliberi, Firenze, 2007.
Palladino P. - C. Cornoldi, Difficoltà di apprendimento della lingua straniera e disturbo specifico del linguaggio, in Cornoldi C. (a cura di), Difficoltà e disturbi dell’apprendimento, il Mulino, Bologna, 2007.
Gli insegnanti di lingue straniere da sempre si confrontano con una naturale difficoltà che gli allievi sperimentano di fronte alla loro materia di studio, soprattutto per l’apprendimento di quelle lingue che hanno un’ortografia opaca, in cui vi è più di una corrispondenza tra grafema e fonema. Se in italiano, infatti, la lettera “A” corrisponde a un solo suono, in inglese, il medesimo segno grafico abbraccia pronunce diverse. Le ricerche che hanno indagato il rapporto tra disturbi di apprendimento e lingua straniera si sono soffermati su due aspetti principali: da un lato ci si è chiesti se si possa parlare di una vera e propria Difficoltà di Apprendimento della Lingua Straniera, DALS (per un approfondimento cfr.: Palladino - Cornoldi, 2007), ovvero di una lacuna nell’apprendimento della lingua; dall’altro si è indagato come sia per un allievo con dislessia studiare una lingua più complessa e lontana dalla propria (per un approfondimento cfr.: Daloiso, 2012).
Generalmente di fronte a un disturbo di apprendimento la lingua straniera passa in secondo piano, poiché la fatica a scuola è già tanta. Cosa accadrà, però, quando ci sarà l’ingresso nel mondo del lavoro? I colloqui di assunzione ancora non prevedono misure dispensative e compensative per i candidati: non saper utilizzare la lingua inglese rischia di essere un motivo di esclusione dall’impiego desiderato! Quindi se anche le Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento (2011) prevedono la possibilità di esonero dalla lingua scritta in sede di valutazione e nonostante al loro interno si solleciti a scegliere una lingua a ortografia trasparente, resta da capire cosa comportino tali scelte nella vita dei bambini di oggi e degli adulti di domani. Un esempio? Il 90% del linguaggio utilizzato nel web è inglese. Scegliere lo spagnolo a scuola consentirebbe quindi, sì di avere dimestichezza con una lingua straniera e di avere un arricchimento dato dall’accostarsi a una cultura diversa, ma verrebbe meno la possibilità per molti ragazzi di conoscere davvero le cose che li circondano.
C’è da tenere in considerazione che l’Unione Europea ha promosso campagne di sensibilizzazione, progetti, azioni di sostegno per la diffusione della conoscenza delle lingue tra i cittadini dei Paesi membri. Il culmine di questa serie di iniziative è stata la stesura, nel 2001 del Common European Framework of Reference for Languages: Learning, Teaching, Assessment (CEFR), documento in cui vengono delineati livelli di competenza a cui ogni persona può fare riferimento per collocare la propria preparazione rispetto alla lingua parlata, ascoltata, letta e scritta. Gli istituti che da sempre si occupano di insegnamento della lingua straniera si sono adeguati a questi standard e, oggi, iniziano a tenere in conto anche quello che succede nel caso in cui un bambino o un ragazzo con DSA voglia sostenere un esame presso le loro strutture. Nel sito del British Council, per esempio, si trovano indicazioni per gli special needs: ai ragazzi con Disturbo di apprendimento è concesso del tempo in più – solitamente il 25% del totale – per lo svolgimento delle prove. Eppure le strategie di potenziamento da attuare rispetto all’apprendimento della lingua straniera sono ancora lontane dall’essere trovate. Almeno in Italia. Molti dei metodi proposti sono focalizzati sull’apprendimento della corretta pronuncia dei fonemi (Kvilekval, 2007), pratica generalmente diffusa nei paesi anglosassoni, ma poco attuata nel nostro Paese. Un approccio che si sta focalizzando sulle difficoltà insite nell’apprendimento della lingua inglese è quello metacognitivo (cfr.: Ferrari - Palladino, 2011), che si concentra sulla possibilità di riflettere sulle caratteristiche della lingua che si sta studiando e sulle somiglianze e differenze con quella madre a livello fonologico, morfologico, sintattico e semantico.
Resta una domanda. Studiare l’inglese quando si ha a che fare con un disturbo di apprendimento è possibile? L’esperienza di Clara, bambina di 9 anni pervenuta presso il nostro centro, ci porta a rispondere positivamente. Gli ottimi risultati ottenuti nella classe di inglese che frequenta come attività extra-scolastica non avrebbero mai fatto presagire la presenza di una dislessia. La valutazione, richiesta in seguito a un affaticamento nella lettura che genitori e insegnante avevano notato, ha fatto emergere una dislessia importante, anche se ben compensata. L’approccio utilizzato affonda le radici in alcune delle strategie più utilizzate in glottodidattica (per approfondimenti cfr. Cangià 2011a; 2011b), ovvero attività basate sulla manualità e sulla multimedialità abbinate al teatro, che si mostra uno dei pochi contesti in cui è possibile favorire una full immersion nella lingua inglese. Che Clara sia la regola piuttosto che l’eccezione, però, rimane ancora tutto da dimostrare ed è quello che ci stiamo proponendo di fare, per rendere l’impatto con la lingua inglese sempre più piacevole e meno problematico per i bambini.
Soprattutto a scuola, dove l’insegnamento della lingua straniera verte ancora più sulla grammatica, che non verso l’uso della lingua. Parliamo per comunicare con gli altri, non per sapere se il verbo viene prima o dopo il soggetto. Per questo crediamo che promuovere gli aspetti della comunicazione in classe, magari attraverso l’uso delle nuove tecnologie e del teatro, potrebbe essere una strategia efficace. Per tutti.
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Cangià C., Lingue altre 1. Conoscerle e coltivarle, Editrice La Scuola, Brescia, 2011a.
Cangià C., Lingue altre 2. Insegnarle e impararle, Editrice La Scuola, Brescia, 2011b.
Daloiso M., Lingue straniere e dislessia evolutiva. Teoria e metodologia per una glottodidattica accessibile, UTET, Torino, 2012.
Ferrari M. - P. Palladino, English time, Giunti Scuola, Firenze, 2011.
Kvilekval P., Insegnare l’inglese ai bambini dislessici. Un metodo sicuro per tutti, Libriliberi, Firenze, 2007.
Palladino P. - C. Cornoldi, Difficoltà di apprendimento della lingua straniera e disturbo specifico del linguaggio, in Cornoldi C. (a cura di), Difficoltà e disturbi dell’apprendimento, il Mulino, Bologna, 2007.
Profilo del medico - Caterina Cangià e Ilaria Benedetti
Nome:
Caterina Cangià e Ilaria Benedetti
Occupazione:
Docente Università Pontificia Salesiana e L.U.M.S.A. e Psicologa Psicoterapeuta Gestalt
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