Salute "fai-da-te"
Limiti e rischi dei trattamenti sanitari "fai da te"
Un comportamento salutista, per altro sempre più emergente, solitamente più frequente tra le giovani generazioni, consegue dalla convinzione diffusa che sia possibile... curarsi anche da soli. Così, come a casa propria ci si può improvvisare artigiani e riuscire risolvere con successo guasti idraulici ed elettrici e risolvere, nel breve, piccole riparazioni e manutenzioni domestiche, così come nella propria cucina certe persone riescono addirittura meglio di tanti cuochi professionisti, per analogia, chi sufficientemente conosce il proprio corpo, anatomicamente e fisiologicamente, può arrogarsi l’onere di riequilibrarlo al meglio, se qualcosa non funziona, al pari della manutenzione della propria automobile.
Analogicamente, e anche teoricamente, il ragionamento da cui si parte ha un suo razionale per cui chiunque è in grado di fare ciò che conosce bene.
Questa tendenza a “fare da soli” viene favorita da periodi di crisi economica dove la corsa al risparmio coinvolge spesso anche la salute delle persone per cui ci si rivolge al professionista ad accesso gratuito oppure a quello praticante gli onorari più bassi (il costo rischia, in certi frangenti, di diventare il criterio di scelta preminente). Comunque, in tempi di sfavorevole congiuntura economica, ci si affida a pagamento solo in caso di percepita necessità, per sintomatologie eclatanti e fortemente invalidanti la qualità della propria vita.
All’interno del variegato mondo del “fai da te” non si può non considerare l’interesse sempre più crescente verso quelle “terapie naturali” basate sull’estrazione di principi attivi da determinate piante (o parti di esse), rispetto alle cure convenzionali basate su farmaci di sintesi. Tuttavia le stesse piante, anche quelle che vivono nel nostro ambiente, hanno potenti caratteristiche biochimiche che le possono rendere a noi amiche o, al contrario, anche nemiche, tossiche e velenose, se raccolte o ingerite incautamente o assunte ingiustificatamente e senza il competente consiglio dell’esperto fitoterapeuta nelle modalità, tempi di cura e dosi consigliate. Infatti il termine “naturale”, per l’elevata richiesta di rimedi non convenzionali, per la loro libera vendita senza ricetta (anche tramite Internet) per la pseudo informazione scientifica svolta dai mass-media, induce a una diffusa convinzione di sicurezza e innocuità; ma naturale non è sempre sinonimo di sicuro né di innocuo.
L’errata opinione che i rimedi naturali siano salutari, sicuri e innocui spinge le persone ad assunzioni “ricreazionali” (uso improprio) e alla più diffusa pratica dell’auto-medicazione. Spesso, per la diffusa convinzione che ciò che è naturale sia esente da rischi, vengono assunti anche da persone che si considerano sane, a scopo “preventivo”, prodotti acquistati o derivati da raccolta spontanea di piante oppure si assumono preparazioni “tradizionali“ fai-da-te, solitamente dopo la lettura di riviste o la visione di trasmissioni televisive. Tali comportamenti incauti rischiano di compromettere l’efficacia e la sicurezza delle estrazioni da piante officinali e creare disturbi indesiderati, di vario tipo. Infatti i fitoderivati vanno assunti con il consiglio competente del fitoterapeuta qualificato e solamente per un determinato periodo di tempo, non prolungabile né ripetibile a piacimento e comunque sempre dopo una accurata valutazione diagnostica.
All’interno dell’orizzonte della psicologia la logica del “fai date” si riscontra con molta frequenza nei gruppi di auto mutuo aiuto di matrice statunitense. Quando, in giovane età, mi occupavo terapeuticamente della diagnosi e cura di pazienti alcolisti all’interno del reparto ospedaliero, sentivo spesso dire che “chi non ha avuto mai problemi con l’alcol non riesce a capire cosa prova l’alcolista e neppure riesce curarlo”. Quanto affermato dagli stessi alcolisti (e lo stesso può essere replicato non solo da tutti gli assuntori di sostanze tossiche, ma pure dai pazienti affetti da quasi tutte le psicopatologie) possiede una suggestiva logica intrinseca, difficilmente confutabile. Tuttavia, in ambito strettamente sanitario, là dove sono evidenti patologie diagnosticabili come tali, pur riconoscendo, oggettivamente, che l’intervento del clinico (medico o psicoterapeuta che sia) potrebbe, a volte, non essere strettamente necessario, ciò che necessita ai fini del successo di una eventuale cura è la presenza attiva del paziente, quale portatore dei sintomi lamentati e quella del clinico che ha studiato e ha esperienza diagnostica e di cura delle varie patologie.
È la fattiva collaborazione biunivoca tra i due soggetti che porta al risultato terapeutico: uno conosce i sintomi lamentati e la loro storia sul suo corpo, l’altro conosce la metodologia clinica che porta alla diagnosi e ha studiato i protocolli terapeutici attuabili; l’esperienza inoltre gli dà la possibilità di discriminare le varie casistiche riscontrate nel tempo affinando versatilmente le strategie di intervento. La collaborazione attiva, tramite incontri personali, reali, tra chi conosce se stesso e vuole guarire e chi sa che cosa e come fare porta a risultati terapeutici positivi dopo aver individuato con precisione la malattia sofferta – secondo classificazioni ufficiali condivise – e il suo grado di gravità.
Quindi di fronte a un insieme di sintomi disturbanti, diagnosticati come malattia, è importante rivolgersi a un terapeuta certificato e preparato con cui iniziare un approccio di squadra per la soluzione del problema accusato: si tratta di stabilire una alleanza terapeutica attraverso uno sforzo collaborativo. Nel caso di assenza di una specifica patologia diagnosticabile, la persona ancora sana che si propone il mantenimento del benessere globale e il miglioramento della qualità della vita individuale, riducendo i segni dell’invecchiamento e le probabilità di rischio di contrarre episodi acuti delle più comuni psicopatologie derivanti dallo stress, aumentando le prestazioni e le abilità di difesa verso gli eventi di vita stressogeni, può impegnarsi in un programma profilattico di prevenzione psicologica o medica. Questo libro infatti è impostato secondo i criteri della psicologia preventiva e pertanto si rivolge a persone prive di patologie in essere.
Tuttavia qualsivoglia percorso preventivo non va organizzato rapsodicamente, così come si assemblano le pedine di un puzzle, senza avere una idea organica del tutto e un regista supervisore, competente nella disciplina, che strutturi e organizzi le varie componenti preventive, adattandole alla persona, secondo il principio del “maid tailored”. In conclusione, mentre riesce difficile vedere dei successi in un programma terapeutico che la persona si organizza da sola, per conto proprio, riesce più facile considerare un percorso preventivo individuale,comunque organizzato e strutturato, se pur con i dovuti limiti.
Paolo Zucconi, sessuologo e psicoterapeuta comportamentale a Udine.
liberamente tratto da: Paolo G. Zucconi, Il Manuale pratico del benessere, Edizioni Ipertesto